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28/05/2024

La catena dell’impunità nell’esercito israeliano

Le Forze di Difesa israeliane IDF (autodefinizione: l’esercito più morale del mondo, ndr) commettono i loro crimini di guerra impunemente, la probabilità che i soldati vengano accusati o condannati per atti di violenza contro i palestinesi è molto bassa.

Questa cultura dell’impunità ha una lunga storia all’interno dell’esercito israeliano, ma dopo il 7 ottobre le uccisioni impunite si sono moltiplicate e finora nessun soldato è stato punito per aver ucciso dei palestinesi.

Riteniamo che l’argomentazione del governo (tedesco, ndr), secondo cui è legale vendere armi a Israele perché ci si può fidare che l’esercito israeliano agisca nel quadro del diritto internazionale, non corrisponda alla realtà. L’esercito israeliano manca di disciplina. Questo spesso significa che i soldati vengono raramente puniti per aver disobbedito agli ordini e per aver usato una forza eccessiva. Con questo rapporto, vogliamo fornire fatti a sostegno dei vari gruppi legali in Germania e Nicaragua che stanno contestando la politica della Germania di fornire armi a Israele.

L’esercito israeliano è nato da milizie paramilitari, in primo luogo l’Haganah. La gerarchia lasca dell’Haganah si è riflessa nelle tradizioni militari delle Forze di Difesa israeliane. L’Unità 101, comandata da Ariel Sharon, poi diventato Primo Ministro, fu fondata come unità di rappresaglia per vendicarsi delle comunità palestinesi. L’unità compì il massacro di Qybia il 14 ottobre 1953, uccidendo 69 civili palestinesi e facendo esplodere le loro case. Il governo israeliano incolpò il governo giordano per il massacro – i soldati e gli ufficiali non furono puniti. Nel 1956, i soldati israeliani massacrarono 48 palestinesi a Kafr Qasim.

Dopo il massacro, la Corte Suprema israeliana condannò l’ufficiale superiore Yissachar Shadmi a una multa di 10 prutot (circa 10 centesimi) come punizione simbolica per aver dato un ordine illegale. Questi due esempi, risalenti al primo decennio dopo la fondazione di Israele, sono citati qui solo come sfondo storico – come due delle decine di esempi simili.

La violazione della disciplina militare da parte dell’esercito israeliano nell’ultimo decennio ha raggiunto un nuovo livello con i governi populisti di destra di Netanyahu. Nel 2016, il soldato israeliano Elor Azaria ha ucciso il palestinese Abdel Fatah Al Sharif a Hebron, che giaceva a terra ferito e inerme. L’omicidio è stato registrato con un video dall’organizzazione israeliana per i diritti umani B’tselem. Il processo contro Azaria è diventato uno scandalo politico.

Il ministro della Difesa israeliano Moshe Yaalon ha avvertito: “Se non ci esprimiamo molto chiaramente denunciando questo comportamento, i palestinesi ci accuseranno di esecuzioni extragiudiziali – come hanno fatto per molto tempo – e se non lo fermiamo immediatamente, ci sarà una reazione palestinese e internazionale”. Netanyahu ha sostenuto Azaria. Egli è stato condannato a 9 mesi di carcere, ma è diventato un famoso personaggio pubblico. Molti israeliani si dichiararono solidali con lui e chiesero persino una medaglia per lui. I suoi sostenitori lo consideravano un modello, sostenendo che i soldati israeliani hanno il diritto di uccidere i palestinesi, indipendentemente dagli ordini.

Ad esempio, l’allora ministro israeliano della Pubblica sicurezza, Gilad Erdan, si è rifiutato di indagare sull’uccisione dell’insegnante Yakub Al-Qian a Umm el Khiran il 18 gennaio 2017 da parte della polizia israeliana. Ha giustificato retroattivamente l’uccisione accusando Al-Qian di terrorismo senza prove. Durante la Grande Marcia del Ritorno (2018-2020), i cecchini israeliani sono stati posizionati nelle difese intorno alla Striscia di Gaza, con l’ordine di fermare le proteste disarmate e pacifiche solo con mezzi non letali.

I cecchini hanno palesemente disobbedito agli ordini, hanno sparato alla testa di adulti e bambini, hanno ucciso il paramedico Rouzan al-Najjar e oltre 200 altre persone, e si sono persino vantati su internet di usare i palestinesi come bersagli – ridendo quando li colpivano. Nessun cecchino è stato punito per questo comportamento. Nel 2020, un soldato della polizia di frontiera israeliana, Iyad Al-Hallaq, ha ucciso un uomo indifeso affetto da autismo a Gerusalemme Est. È stata aperta un’indagine contro il soldato, che è stato assolto.

Il crollo della disciplina è stato discusso nel libro del professore ed ex generale israeliano Yagil Levy “La gerarchia della morte di Israele”. Levy sostiene che i giovani israeliani non si arruolano più nell’esercito per un obbligo o per un senso di patriottismo, ma per un “accordo commerciale” che stipulano con l’esercito. I soldati si aspettano di essere ricompensati per il loro servizio militare con opportunità di lavoro e formazione spendibile se prestano servizio in unità ad alta tecnologia o di intelligence.

Per i soldati che prestano servizio come semplici fanti, come guardie ai posti di blocco, non ci sono tali ricompense. Questi soldati vivono una crisi di lealtà che li rende frustrati e indisciplinati. Nel dicembre 2022, Gideon Levy ha pubblicato sulla rivista 972 un articolo intitolato “La ribellione del secondo esercito israeliano”, in cui descrive questa frustrazione e il crollo della disciplina come una vera e propria ribellione. I soldati, insoddisfatti delle scarse ricompense materiali dopo un servizio militare lungo, arduo e pericoloso, chiedono che la loro ricompensa sia “compensata” sotto forma di sangue dei palestinesi. Secondo Levy, la dichiarazione dell’allora comandante in capo israeliano Aviv Kochavi, che prometteva di rendere l’esercito israeliano “più letale”, aveva lo scopo di placare questi soldati.

L’omicidio della giornalista di Al-Jazeera Shireen Abu Akleh, avvenuto l’11 maggio 2022, è stato un chiaro caso di impunità dell’esercito israeliano. Nonostante le indagini siano giunte alla chiara conclusione che un cecchino israeliano ha deliberatamente ucciso Abu Akleh con un colpo alla testa, il governo israeliano si è rifiutato di rivelare l’identità del soldato e di sporgere denuncia.

Nel 2022, l’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din ha pubblicato una scheda informativa intitolata “Applicazione della legge contro i soldati israeliani sospettati di aver fatto del male ai palestinesi 2019-2020”. Yesh Din ha analizzato centinaia di denunce di palestinesi su atti ingiustificati di violenza e vandalismo da parte di soldati israeliani contro i palestinesi. Sebbene il 37,6% dei palestinesi che hanno contattato Yesh Din tra il 2016 e il 2023 non abbia sporto denuncia alla polizia, principalmente perché non si fidava del sistema legale israeliano, centinaia di persone ci hanno provato comunque.

La polizia israeliana ha chiuso il 93,7% delle indagini su “reati ideologici”, cioè atti di violenza a sfondo razziale e nazionalistico, contro i palestinesi commessi da soldati o coloni senza nemmeno sporgere denuncia. Solo il 4,4% delle indagini contro i soldati per eccessiva violenza contro i palestinesi ha portato alla formulazione di accuse.

La nomina di Itamar Ben-Gvir a Ministro della Sicurezza nazionale israeliano nel gennaio 2023 ha rappresentato un’ulteriore escalation nella cultura dell’impunità di Israele. Ben-Gvir ha ripetutamente usato la sua autorità di ministro per interferire nei procedimenti in cui i soldati e la polizia di frontiera sotto la sua giurisdizione sono chiamati a rispondere per aver disobbedito agli ordini (fonte in ebraico). Ha fatto visita a soldati che hanno ucciso o maltrattato palestinesi, sostenendoli e chiamandoli eroi, mentre si è espresso contro un’indagine o un’incriminazione. Ben-Gvir ha anche formato la cosiddetta Guardia Nazionale, una milizia armata di teppisti di estrema destra, per far rispettare le sue politiche.

Dopo il 7 ottobre e l’invasione israeliana della Striscia di Gaza, i casi di soldati che disobbediscono agli ordini e agiscono di propria iniziativa sono diventati più frequenti. I soldati documentano sui social media i propri crimini, come abusi sessuali, saccheggi e persino omicidi, senza temere azioni disciplinari. I palestinesi hanno riferito che i soldati hanno torturato i civili e sparato loro alle gambe. Le testimonianze non hanno portato a un’indagine contro i soldati.

Il 27 marzo, Haaretz ha riferito che le guardie carcerarie israeliane hanno ucciso 27 prigionieri, alcuni privandoli di cibo e cure mediche, altri torturandoli. Nessuna delle guardie carcerarie è stato incriminato. Il 2 maggio è stato reso noto che il medico palestinese Adnan al-Bursh, 50 anni, capo del reparto di ortopedia dell’ospedale Al-Shifa, è stato torturato a morte durante la detenzione israeliana. Anche se è ancora troppo presto per sapere se verrà aperta un’indagine sul suo omicidio, le probabilità sono molto basse.

Quando il 1° aprile scorso i droni israeliani hanno ucciso sette operatori umanitari della World Central Kitchen, Israele ha dovuto adottare un provvedimento più severo perché sei di loro avevano passaporti occidentali. L’esercito israeliano ha fatto trapelare l’informazione che l’attacco è stato condotto in spregio agli ordini, il che significherebbe che gli ufficiali che hanno autorizzato l’attacco dovrebbero essere processati per omicidio, invece sono stati semplicemente sospesi dalle loro funzioni.

Le autorità statali devono rendersi conto che qualsiasi arma venduta a Israele può finire nelle mani di soldati che la usano come meglio credono e non hanno motivo di temere di essere perseguiti se vogliono uccidere dei palestinesi. La mancanza di responsabilità e il disfunzionale sistema giudiziario israeliano dovrebbero obbligare la Germania (e altri Paesi, ndr) a smettere di vendere armi a Israele.

Amira Hass descrive in modo autentico gli effetti della cultura dell’impunità sopra descritta sulla vita dei palestinesi in Cisgiordania.

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