Tutti i maggiori media russi hanno dato notizia degli arresti, eseguiti nell’ultimo mese, di almeno quattro alti ufficiali dell’esercito, tra cui un vice Ministro della difesa: l’accusa per tutti è quella di truffa con grave danno per le casse dello Stato.
Prima di ogni altra considerazione, è bene sottolineare – in particolare a pro di quella “compagneria” che volesse azzardare paragoni antistorici, finendo poi per trovarsi, ovviamente con opposto spirito, in compagnia del mondo liberale russo, sgomento per un fantasioso “ritorno al ‘37” – che, come d’altronde messo in chiaro dal tipo di accuse, l’attuale “epurazione” non ha nulla a che vedere con accadimenti che avevano toccato l’Esercito Rosso sovietico tra il 1937-1938 e, conseguentemente, nulla mette in rapporto l’Unione Sovietica prebellica e la Russia della Operazione speciale in Ucraina.
Questo, nonostante anche da parte di Mosca, nei mesi scorsi, ai fini di una necessaria quanto tardiva “mobilitazione sociale delle coscienze”, si siano tentati parallelismi tra gli obiettivi antihitleriani dei popoli sovietici, ottant’anni fa, e la battaglia contro lo stampo marcatamente neonazista degli odierni golpisti di Kiev, al guinzaglio dell’euroatlantismo guerrafondaio.
L’unica relazione tra il 1937 e il 2024 – se proprio qualcuno la voglia vedere – è l’alto grado militare dei soggetti sotto accusa.
Se novant’anni fa, o giù di lì, pur prendendo la cosa molto superficialmente e da un punto di vista liberal-giuridico, poteva parlarsi di una qualche motivazione “ideale”, oggi il movente non è altro che il volgarissimo, agognatissimo da molti, dannatissimo denaro.
Certo, gli “ideali” dei vari Tukhacevskij, Gamarnik, Jakir, Uborevič, e soci, oltre alle mire bonapartiste e alla collusione con settori determinati del VKP(b), consistevano in pratica in un tentativo di golpe teso a rovesciare il partito e a invertire la rotta del governo sovietico, portando l’URSS ad allearsi con la Germania nazista.
È certo possibile che quelle mire comportassero, nelle menti dei cospiratori, anche lo straccio della tradizione “ascetica” propria degli esponenti bolscevichi, e di Stalin in primo luogo, con il conseguente avvio di buoni affari lucrativi e arricchimento personale. Ma non era sicuramente questo l’aspetto principale del loro complotto.
Oggi, di contro, l’unico “ideale” che pare aver guidato i generali russi arrestati, altro non è che lo sfoggio di ville, auto di lusso, valige piene di denaro contante. Il capitalismo ha dato anche nella Russia attuale i suoi frutti “ideali” e il conflitto in Ucraina, con l’enorme, inevitabile, incremento delle spese militari, sia in armamenti, che in logistica e altre uscite accessorie, ha fornito una ghiotta occasione per lucrare.
Ora, è bene tenere in vista la grossa differenza che corre tra la reazione dei vertici russi alle frodi messe in atto dai propri alti ufficiali, e quella di cui fa sfrontato sfoggio la junta nazigolpista installata a Kiev, insieme alle prebende che si intrufolano nelle tasche anche dei suoi padrini e fornitori di armi occidentali.
L’arricchimento e la corruzione ai vertici, politici e militari, del potere ucraino sono talmente sfacciati che a più riprese, almeno per salvare la faccia di fronte ai contribuenti americani, i padrini yankee della junta si sono sentiti in obbligo di riprendere i propri protégé: e che diamine, sono cose che si fanno normalmente e quotidianamente, ma imparate ad avere un po’ di tatto, e non regalatevi tre ville in Spagna, se ve basta una a Forte dei Marmi!
E dunque, tornando alla Russia, in ordine di tempo, lo scorso 24 aprile viene arrestato il vice Ministro della difesa Timur Ivanov, responsabile di gestione delle proprietà, acquartieramenti e supporto sanitario delle forze armate.
I rapporti che lo legavano all’ex Ministro della difesa Sergej Šojgù risalgono al periodo in cui entrambi erano al di fuori della sfera militare: nei sei mesi in cui, nel 2012, Šojgù era stato governatore della regione di Mosca, Ivanov era suo vice. L’imputazione è quella di aver intascato 1,2 miliardi di rubli per favorire ditte appaltatrici del Ministero della difesa.
Il 13 maggio è la volta del tenente-generale Jurij Kuznetsov, a capo del dipartimento quadri del Ministero della difesa, con un’accusa pressoché identica: mazzette, anche se i fatti imputatigli risalirebbero a precedenti incarichi nello stesso Ministero. Gli sarebbero stati trovati in casa soldi per cento milioni, in rubli e valuta straniera, monete d’oro, orologi da collezione e altri oggetti di lusso. Al pari di Ivanov, anche Kuznetsov si dichiara innocente.
Il 23 maggio tocca al tenente-generale Vadim Šamarin, a capo del Dipartimento comunicazioni e vice capo di Stato Maggiore. Anche nel suo caso, sono coinvolti responsabili e azionisti di una impresa fornitrice delle forze armate: avrebbero “donato” a Šamarin “appena” 36 milioni di rubli perché registrasse un volume di merce superiore a quello realmente fornito.
Lo stesso giorno di Šamarin, preso sotto custodia anche il colonnello Vladimir Verteletskij, capo del Dipartimento per gli ordinativi della difesa, accusato di abuso di potere: nel 2022, avrebbe dato per eseguiti lavori non completati, causando allo stato un danno di oltre 70 milioni di rubli.
Secondo il portavoce presidenziale russo Dmitrij Peskov, gli arresti non sarebbero affatto legati a una qualche “campagna” speciale persecutiva contro i militari, ma rientrano nella «lotta quotidiana e permanente alla corruzione a tutti livelli».
Un caso a parte è poi quello del maggior-generale Ivan Popov, ex comandante della 58° Armata, arrestato il 17 maggio, anch’egli con l’accusa di “frode di larghe proporzioni”, con l’aggravante del concorso con altri, per la sottrazione di 1.700 tonnellate di materiali in metallo, destinati dall’amministrazione regionale di Zaporož’e a strutture difensive sulla linea del fronte.
Secondo Kommersant, al posto di Popov sarebbe dovuto figurare un altro generale, poi morto sul campo e decorato post mortem come eroe della Russia. A differenza degli altri quattro, Popov si era distinto nelle operazioni militari, in particolare durante la cosiddetta “controffensiva” ucraina del 2023, dopo di che era però stato rimosso dal comando.
Fatto sta che i più conosciuti corrispondenti di guerra prendono le difese di Popov. «Altra cosa se il furto fosse stato opera di appaltatori e subappaltatori che dovevano costruire le fortificazioni», dice per esempio Aleksandr Kots; mentre ora «il generale viene accusato di non aver controllato. Ma lui aveva altro da fare: stava combattendo, non costruendo. Del resto, era un altro generale a occuparsi di costruzioni», con implicito riferimento a Timur Ivanov.
Il canale “Rybar” ricorda che un anno fa, “dietro le quinte”, a proposito della rimozione di Popov, nessuno parlava di corruzione; al contrario, era indubbia la sua popolarità tra le truppe. Ma il politologo Sergej Markov insinua che i corrispondenti di guerra abbiano dato il via alla campagna “Ivan Popov non è Timur Ivanov”, secondo una linea per cui «L’arresto del generale Popov è stato ordinato da persone realmente corrotte, contro un generale onesto e non corrotto, perché ha impedito loro di rubare».
E allora, quale sarebbe la colpa di Popov? Egli ha sempre affermato di aver riferito onestamente i problemi dell’esercito ai vertici ministeriali: mancanza di postazioni di controbatteria, fortissime perdite di uomini per l’artiglieria nemica, necessità di rotazioni, ecc. Ma, soprattutto, aveva dichiarato che, come confermato da «molti comandanti di reggimento e di divisione, le forze ucraine non sono riuscite a sfondare il fronte e il nostro esercito è stato invece colpito dal nostro comando, decapitandolo a tradimento nel momento più duro». Chiaro che dopo simili parole...
Se si tiene conto che tali uscite di Popov seguivano di appena tre settimane l’ammutinamento di Evgenij Prigožin, nota RIA Novosti, è difficile ipotizzare che una simile fronda potesse essere tollerata: è possibile che quello di Popov sia stato visto «come un ammutinamento, ma in forma attenuata; d‘altra parte, era stata proprio la 58° Armata a dare il meglio di sé durante la marcia di Prigožin su Mosca».
RIA sottolinea anche come tutti gli arresti siano stati eseguiti sì dopo la sostituzione di Sergej Šojgù con Andrej Belousov, ma ciò non significa che si debbano a qualche iniziativa del nuovo Ministro. Tant’è che, stando a Argumenty i Fakty, Šojgù era stato avvisato in anticipo del prossimo arresto del suo vice.
Oltretutto, scrive ancora RIA, negli ultimi anni, centinaia di vicegovernatori, presidenti di parlamenti e governi regionali, funzionari federali o territoriali, hanno onorato della loro presenza i centri di detenzione preventiva e le colonie, sempre, regolarmente, in compagnia di direttori di grandi imprese e società statali e biznessmeny a loro vicini.
E in questi anni non sono mancati gli arresti nemmeno per centinaia di funzionari a ogni livello delle forze dell’ordine, delle dogane, dell’investigazione economica, del servizio penitenziario. Ma tali “retate” non sono mai state la conseguenza di ricambi ai vertici dei relativi ministeri.
D’altronde, come escludere del tutto che la nomina di Sergej Šojgù a segretario del Consiglio di sicurezza (carica più alta, dopo presidente e vice presidente della struttura: rispettivamente Vladimir Putin e Dmitrij Medvedev), oltre che a normale rotazione dopo dodici anni al vertice della Difesa, sia stata dovuta a una leggera tirata d’orecchie per la “poca attenzione” mostrata verso gli affari dei propri sottoposti? Difficile vedere in tutto ciò un “ritorno al ‘37”: ne mancano i presupposti ideologici e storici.
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