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24/05/2024

L’ambientalismo diventa “reato”, e anche informare

Ricordate i tempi in cui gli ambientalisti venivano lodati e incensati da parte del potere? Beh, acqua passata… Due notizie in poche ore spazzano via qualsiasi dubbio, anche perché riguardano due paesi decisamente rilevanti all’interno dell’Unione Europea.

Quella italiana, oltre che l’ambientalismo, riguarda anche la “libera informazione”, sventolata come massimo vanto della “liberalità” del sistema capitalistico occidentale. Un gruppetto di giornalisti che stavano seguendo una protesta di ‘Ultima generazione’ è stato fermato e portato in questura, trattenuto per ore, senza alcuna spiegazione accettabile.

In Germania, invece, si comincia a far ricorso alla legislazione “antimafia” per perseguire quanti si rendono conto che questo sistema economico, oltre ad essere profondamente ingiusto per gli esseri umani, sta anche portando il Pianeta al disastro totale. E dire che a Berlino c’è un governo in cui siedono addirittura i “Verdi”, ma quelli convertiti alla Nato...

Ma noi viviamo nel “giardino”, no? E quindi zitti...

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da Il Fatto Quotidiano

I giornalisti, come sempre accade quando ci sono azioni del gruppo, erano stati invitati ad incontrarsi davanti a un luogo prestabilito – in questo caso un bar della zona – senza sapere quale sarebbe stata la destinazione. Poi da lì si sono mossi alla spicciolata. Chi a piedi, chi con lo scooter.

I tre cronisti hanno scelto di seguire a piedi i giovani attivisti e camminavano una ventina di metri dietro a loro quando i poliziotti li hanno fermati e chiesto di mostrare i documenti: “Cosa che abbiamo fatto – continua il racconto della collaboratrice de ilfatto.it – identificandoci subito come stampa e mostrando, oltre alle carte d’identità, anche i tesserini dell’Ordine dei giornalisti“.

Una versione che la Questura contesta, in serata, con un comunicato stampa. “All’esito di una verifica sulle identificazioni effettuate nel pomeriggio nei pressi di via Flavia, il personale intervenuto ha relazionato che i soggetti sul posto non hanno dichiarato o dimostrato di essere giornalisti“, si legge nella nota in cui viene aggiunto che i giornalisti hanno esibito delle carte di identità che sono state registrate nella relazione di servizio.

Tanto che, prosegue la nota, “nello stesso momento nella zona di via Veneto dove era in corso un imbrattamento, altri appartenenti all’ordine dei giornalisti, dopo aver esibito il tesserino professionale, hanno continuato a fare regolarmente il proprio lavoro senza esser sottoposti ad alcun ulteriore controllo”.

E tuttavia, secondo il racconto della nostra collaboratrice, il contenuto della nota non corrisponde al vero: “Abbiamo dato i documenti qualificandoci come giornalisti e mostrando il tesserino dell’Ordine. Ci è stato risposta che non era necessario”, continua il racconto di Angela Nittoli.

Anche il dipartimento di pubblica sicurezza del Viminale, in serata, ha emesso un comunicato sulla stessa linea: “A Roma e nel resto del territorio nazionale non è mai stata data una direttiva operativa che preveda l’identificazione di giornalisti e operatori dell’informazione in occasione di manifestazioni pubbliche. Singoli episodi che hanno portato all’identificazione sono avvenuti in contesti dove la qualifica di giornalista non era stata dichiarata o dimostrata. Trattasi in ogni caso di circostanze che non sono riconducibili a nuove modalità operative”.

Fatto è che per circa mezz’ora i cronisti vengono trattenuti sul ciglio della strada, a poca distanza da dov’erano stati fermati, senza che – volendo seguire la linea di Questura e Viminale – la loro qualifica venga chiarita. Ai giornalisti viene detto che non possono usare i cellulari.

Ma non finisce qui. “Con la motivazione di dover fare ulteriori controlli – aggiunge Nittoli – gli agenti hanno chiamato una volante della Polizia per farci portare in commissariato“. Anche in questo caso – a bordo dell’auto di servizio delle forze dell’ordine – niente cellulari, hanno ordinato gli agenti. E per questo “ci hanno fatto riporre gli zaini e le borse nel bagagliaio” sottolinea ancora Nittoli.

Una volta al commissariato di Castro Pretorio, sono partite le perquisizioni, non è noto alla ricerca di cosa. Dopo questa operazione i tre cronisti sono stati portati in quella che i poliziotti hanno definito “celletta“, una stanza di massimo 2 metri per 3 con la porta blindata tenuta aperta, ma sorvegliata: “Un po’ ovunque – racconta la giornalista del Fatto – sembravano esserci macchie di sangue”.

“Ho chiesto di andare in bagno – continua – e sono stata accompagnata da una poliziotta e mi è stato detto di non chiudere la porta, ma di lasciarla socchiusa. Alle nostre richieste di essere spostati in sala d’attesa, ci è stato risposto che non ci trovavamo lì per sporgere una denuncia e che quindi saremmo dovuti rimanere in quel posto“.

Tutto si è concluso dopo circa due ore: ai giornalisti sono stati restituiti i loro documenti ed è stato permesso loro di uscire. Ma passato quel tempo, dice Nittoli, non è stato più possibile “fare il nostro lavoro giornalistico di documentazione e ripresa”. L’azione degli attivisti di Ultima Generazione si era infatti già conclusa.

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Germania, ambientalisti indagati come mafiosi

il manifesto – Sebastiano Canetta, BERLINO

Ultima Generazione come la mafia. È la stupefacente, pericolosissima, equivalenza giudiziaria della Procura di Neuruppin (Brandeburgo) formulata ieri nell’atto di accusa contro cinque attivisti del movimento ambientalista.

Per la prima volta in Germania viene utilizzato il paragrafo 129 del codice penale (concepito per contrastare la criminalità organizzata) per reprimere un gruppo di protesta non-violento.

«Gli imputati hanno costituito un’organizzazione criminale», insistono i pm dettagliando le responsabilità penali di Henning Jeschke, 22 anni, Mirjam Herrmann, 27, Lukas Popp, 25, Jakob Beyer, 30, ed Edmund Schulz, 60: «Una dozzina di sabotaggi alle stazioni di pompaggio delle raffinerie di petrolio nel Brandeburgo, l’occupazione della pista dell’aeroporto internazionale Willy Brandt di Berlino oltre ad aver imbrattato un quadro al Museo Barberini di Potsdam».

Per la cronaca, non giudiziaria, la tela era un olio di Monet e lo sfregio di natura criminale sono state un paio di macchie di purè di patate.

«Qualunque protesta di Ultima Generazione si è svolta alla luce del sole. Non era mai successo prima nella Repubblica federale che un movimento per la difesa dell’ambiente, votato unicamente alla disobbedienza civile, fosse accusato di essere un’organizzazione criminale. La Procura di Neuruppin ha incredibilmente fatto leva sul paragrafo 129, ideato per combattere le mafie, trasformando così il nostro diritto costituzionale di protesta e riunione politica in un reato. In realtà si tratta di un mero pretesto. Vogliono impedire tutte le nostre future proteste», è la controaccusa di Ultima Generazione.

E movimento uguale mafia vuol dire anche e soprattutto che di conseguenza i sospetti vengono trattati come pericolosi criminali. Nei confronti dei cinque attivisti prima sono state attivate le intercettazioni telefoniche, poi il sequestro del sito web e infine le perquisizioni all’alba nelle abitazioni alla ricerca di materiale compromettente.

«Basterà la sentenza di colpevolezza anche solo di uno fra gli accusati e l’intero movimento finirà in blocco nella lista delle organizzazioni proibite», prevede la portavoce di Amnesty International Deutschland, Paula Zimmermann, secondo cui «in Germania siamo di fronte a una escalation nella criminalizzazione della protesta ambientalista».

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