C’è una linea comune che affratella tutti i governi dell’Occidente neoliberista, in piena guerra con il resto del mondo: qualsiasi protesta al proprio interno va presentata come “opera di infiltrati”.
Del resto, se “noi” – occidentali, quasi tutti bianchi (Vannacci style...), culturalmente e geneticamente “superiori” ad ogni altra etnia, ecc. – viviamo in un “giardino” che deve costruire solidi muri per non esser travolto dai coloured della “giungla” là fuori, perché mai qualcuno dovrebbe protestare in buona fede?
Stiamo tutti nel regno di bengodi, no? Salari altissimi, pensioni che consentono mille vizi, una sanità che cura tutti gratis, scuola gratuita e università con ricche borse di studio...
Dunque che vogliono mai questi studenti che in tutto il mondo, e scandalosamente anche qui nel “libero Occidente”, si indignano per le “un piccolo massacro” in quel di Gaza?
Com’è possibile che ragazzi di buona famiglia – andare all’università è diventato un lusso anche per la fascia alta del ceto medio, ormai – non si crogiolino nel loro quarto d’ora di giovinezza aurea accettando la fetenzia del mondo per quello che è?
Chiaro che se protestano è perché c’è qualche “avvelenatore di menti” che lavora nell’ombra, nelle retrovie, magari sopravvissuto alla stagione che ogni buon borghese rimembra con orrore (“gli anni ‘70, oh my god!”).
Si vede che gli inventori di questa narrazione sono gente che studia poco. Basterebbe un commesso di libreria per spiegar loro che i “cattivi maestri” stanno in pratica in ogni libro, perché stimolare il pensiero autonomo di ogni persona significa – inevitabilmente – mettere in moto i neuroni, cambiare lo sguardo che esamina il reale, vedere cose che prima sfuggivano, stabilire connessioni di causa ed effetto tra fenomeni che sembravano estranei, scoprire che ogni “fatto” è il risultato di una storia e la premessa di altri eventi.
Un esempio tra tanti, e tra i meno “sovversivi”: durante un’occupazione della New School da parte degli studenti contro la guerra in Vietnam, negli anni Sessanta, il corpo docente si interrogava sul “che fare?” rispetto alla protesta. La professoressa Hannah Arendt, ebrea in esilio sfuggita al nazismo, propose semplicemente: «In ogni caso, mai chiamare la polizia».
Ecco, dappertutto o quasi sta avvenendo il contrario. E la polizia assume il controllo dell’università, quindi anche – in parte – quello della formazione della classe dirigente del prossimo futuro.
Naturalmente questo abbassa di molto il livello della futura classe dirigente (già ora ridotta a feccia militarista succube della finanza) e non lascia speranze di sorta all’Occidente neoliberista. Ma non c’è demone peggiore di quello annidato nelle soluzioni semplici, che siano militari o poliziesche.
Ultimo nella lista dei ministeri di polizia occidentali, anche il Viminale è arrivato ad assumere la stessa tesi “esplicativa” rispetto alle proteste: “prestare particolare attenzione” per “impedire che soggetti estranei al mondo universitario possano infiltrarsi nelle manifestazioni al solo scopo di strumentalizzare il dissenso, alimentando forme di violenza che, per loro natura, sono incompatibili con la libera manifestazione del pensiero”.
La lista non è infinita, ma resta vaga, così da poter decidere di volta in volta come meglio aggrada. In generale, potremmo dire, si “monitoreranno” gli attivisti non più in età universitaria (immancabili “gli anarchici” o i “centri sociali”) e i membri della comunità palestinese.
Tutto comprensibile, dentro un contesto di guerra mondiale, un po’ meno secondo la logica.
Se un ministro dell’interno fosse davvero preoccupato della possibilità che si producano atti di violenza, dovrebbe mettere nel mirino le “Squadre d’allerta” organizzate direttamente dall’esercito israeliano (un Stato straniero in guerra) in tutti i paesi in cui è presente una forte “ala sionista” all’interno delle comunità ebraiche.
E un ministro dell’interno serio, supportato da un’intelligence altrettanto seria, dovrebbe aver registrato l’ormai lunga serie di aggressioni contro gli studenti attendati o meno nelle università statunitensi (Los Angeles, New York, ecc), francesi (Scienze Po a Parigi), o contro gli antifascisti di tutte le età il 25 aprile a Roma (di sua diretta competenza).
Sapere che “sul nostro territorio” operano squadre armate (1.400 cittadini italiani sono o sono stati impiegati nell’esercito israeliano negli ultimi sette mesi); che queste squadre obbediscono a un governo straniero (in virtù della “doppia cittadinanza”); che hanno come “nemico” da colpire (schedare, intimidire, ecc.) una parte specifica della popolazione italiana (quanti solidarizzano con i palestinesi massacrati)... questo dovrebbe essere per lui un incubo tale da farlo attivare immediatamente per fermarli.
E invece che fa?
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