Gli exit pool ed i primi risultati delle elezioni regionali tenutesi in Turingia e Sassonia confermano le indicazioni fornite dai sondaggi e sono una vera e propria doccia fredda per l’establishment politico tedesco.
Queste elezioni – caratterizzate da un’alta partecipazione circa il 75%, 8 punti percentuali in più di quelle del 2019 – sono state un test nazionale per la coalizione “semaforo” (SPD, “Verdi” e liberali del FDP) e un anticipo di quelle che si terranno nel Brandeburgo a fine mese.
In Turingia – dove dal 2014 governa un esecutivo sostenuto da una coalizione di sinistra, ma “di minoranza” già nel 2019 – il primo partito è diventato la formazione d’estrema-destra, Alternativa per la Germania (AfD), con oltre il 30% (32,8% secondo i risultati parziali), i Cristiano Democratici giungono secondi con il 23,6%, quasi 10 punti percentuali dietro, e terza l’Alleanza Sahra Wagenknecht (BSW) con il 15,8%.
Meno della metà dei voti sono andata ai due partiti dell’establishment, e ancora di più ai partiti d’opposizione alla coalizione “semaforo” (i nazisti dell’AfD, oltre alla sinistra di Die Linke e del nuovo partito di Wagenknecht).
La sconfitta è ancora più cocente perché i social-democratici arrivano al 6,1%, mentre verdi e liberali non hanno superato la soglia del 5% e dunque non saranno rappresentati nel parlamentino regionale.
Da registrare la parziale tenuta di Die Linke, che pure era stata nella coalizione governativa locale insieme a verdi e SPD con poco più del 13% e che aveva espresso per 10 anni il presidente-primo ministro.
Se i risultati parziali venissero confermati, nel parlamento gli 88 seggi sarebbero ripartiti tra 5 formazioni: 32 AfD, 23 CDU, 15 BSW, 12 Die Linke, e solo 6 l’SPD.
I rappresentanti della coalizione presidenziale avrebbero – “grazie” alla SPD – solo 6 seggi.
Quale sarà la composizione del futuro governo regionale è impossibile da sapere, visto che i rappresentanti della CDU hanno giurato e spergiurato che non andranno al governo con l’AfD.
Il leader locale della CDU, Mario Voigt, ha affermato la volontà di assumere la leadership di una coalizione “per il cambio politico”, nella quale spera di includere la SPD e il BSW (cosa altamente improbabile).
Il leader dell’AfD in Turingia, Björn Höcke, ha invece dichiarato che “chiunque voglia la stabilità in Turingia deve integrare l’AfD”.
Insomma, un vero e proprio rompicapo politico.
In Sassonia, la CDU sembra destinata a rimanere il primo partito con il 31,9%, mentre l’AfD segue di stretta misura con il 30,6%, anche qui la formazione creata appena 7 mesi fa dalla Wagenknecht, è il terzo partito con l’11,8%.
La SPD va appena un po’ meglio che in Turingia con il 7,3%, i Verdi superano la soglia del 5%, ma la Die Linke prende il 4,5%.
Il parlamento, qui composto da 120 deputati, vedrebbe 42 seggi della CDU, 40 della AfD, 15 per il BSW, 10 l’SPD, 7 i “verdi” e 6 Die Linke, mentre i liberali non avrebbero rappresentanti.
In Turingia l’ascesa della AfD è per certi versi “spettacolare” e passa dal 10,6% del 2014, al 23,4% del 2019 a oltre il 32% attuale, divenendo la prima formazione di estrema destra a vincere una elezione nella Germania del dopoguerra.
Più cauto del suo omologo della Turingia, il capo del governo sassone uscente, il democristiano Kretschmer, ha affermato comporre il nuovo esecutivo “non sarà facile”.
In entrambi casi (Turingia e Sassonia) pesa come un macigno la conditio si ne qua non posta dal BSW per la partecipazione eventuale a un esecutivo: la fine del coinvolgimento della Germania nel conflitto ucraino.
Un risultato “sorprendente”, in positivo, quello del BSW. La rapidità con cui si è affermata nel panorama politico tedesco, prima con l’exploit alle europee, oltre il 6%, e poi con questo risultato, l’ha portata ad essere la terza formazione nei due land.
Facciamo alcune prime considerazioni a caldo sul voto.
In primis, i tentativi dell’establishment politico tedesco di fermare l’AfD non sono risultati molto efficaci.
La maggior parte degli elettori dell’AfD fanno parte delle classi subalterne, persone con un reddito basso che non sembrano attenersi ai criteri di “rispettabilità” dettati dell’establishment politico tedesco. Anzi, più li si denigra, più si rafforza la loro determinazione a “votare per vendetta”.
In secondo luogo l’AfD, non paradossalmente, è un partito economicamente ultra-liberista. Vuole abolire il salario minimo e smantellare ulteriormente lo Stato sociale. Questo è chiaramente indicato nel loro programma. Tuttavia, all’establishment politico non viene in mente di evidenziare questo aspetto crudamente materiale, perché ne condivide l’impostazione e disprezza profondamente le classi popolari, specie se dell’Est, e preferisce i paragoni con il nazi-fascismo che riguardano la sfera "ideologica" ma lasciano il tempo che trovano.
In risposta all’attacco con coltello avvenuto a Solingen la scorsa settimana, apparentemente ispirato dall’ISIS, i partiti dell’establishment hanno avviato un nuovo dibattito sull’immigrazione in generale con il fine di varare provvedimenti restrittivi, facendo propria una battaglia dell’estrema destra e aprendole così un’autostrada ancora più larga.
L’AfD ne ha tratto grande vantaggio, ovviamente. Inoltre, è inevitabile che questo la radicalizzi ulteriormente, e il motivo è semplice: l’estrema destra ha bisogno di mantenere il monopolio delle politiche anti-immigrazione, visto che ne è il maggiore “imprenditore politico”. È il loro principale punto di forza, il tema numero uno per scatenare la “guerra culturale” tra subalterni, il conflitto tra penultimi e ultimi della scala sociale.
Naturalmente anche l’opposizione alla guerra in Ucraina, con i guasti portati all’economia (la distruzione del North Stream è solo l’esempio più evidente) ha avuto un peso.
Se volessimo leggere attraverso la lente dell’opposizione alla guerra queste lezioni (un’ottica parziale, ma importante), potremmo dire che circa la metà di coloro che si sono recati alle urne hanno voluto esprimere la propria contrarietà sanzionando la politica bellicista della coalizione politica governativa, che ha portato notevoli svantaggi alle classe subalterne in Germania ed ha compromesso la residuale credibilità della “sinistra di governo”.
Da questo punto di vista esce rafforzata l’ipotesi di rottura che ha portato avanti Sahra Wageneckt nei confronti della Die Linke, e di rimettere al centro dell’agenda politica della sinistra le maggiori preoccupazioni dei ceti subalterni come la questione sociale e l’opposizione alla guerra, che sono i punti più qualificanti ed interessanti del suo programma.
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