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17/05/2025

A Istanbul si tratta, anche se all'“Europa” non piace

Parte la trattativa, anche se media e governanti europei fanno il tifo contro fino a negarla. A Istanbul, stamattina, si siedono le delegazioni russa, statunitense e ucraina, una di fronte all’altra, per la prima volta dal marzo 2022, quando solo l’intervento di Boris Johnson (primo ministro britannico) impedì che si arrivasse ad un cessate il fuoco ed a una prima bozza di accordo.

Molto tempo è passato, al punto che il nuovo premier di Londra – il sedicente “laburista” Keir Starmer – non è assolutamente in grado di influire sulla nuova trattativa, anche se gli piacerebbe moltissimo farla fallire.

La Russia presenta la stessa squadra di tre anni fa (Vladimir Medinsky come capo della delegazione), a sottolineare che da quel punto bisogna ripartire. Completamente diverso invece il team ucraino, guidato dal ministro della difesa Rustem Umerov, insieme a una dozzina di vice-funzionari, viste le numerose sostituzioni imposte ai vertici di Kiev da una guerra dall’andamento catastrofico. L’allora onnipotente Dmitri Kuleba, per esempio, è sparito dai radar...

A far capire che il gioco è serio è stato l’arrivo a Istanbul del segretario di Stato americano Marco Rubio, e non dovrebbe esser lì per fare il turista... Probabile che anche il suo omologo russo, Lavrov, stia per fare altrettanto.

Vedremo gli sviluppi, anche se per il momento sia gli statunitensi che i russi ostentano aspettative piuttosto basse.

Gli europei, invece, fanno a gara per dire che “la trattativa non c’è”, naturalmente per colpa di Putin che non si è presentato a Istanbul dopo aver proposto lui stesso data e sede.

Qui è necessario smettere di seguire i media europoidi e attenersi alle consolidate abitudini della diplomazia internazionale. Da che mondo è mondo, infatti, una trattativa tra due paesi in guerra è impostata dagli “sherpa”, ovvero da quei funzionari incaricati di preparare il terreno curando tutti i dettagli, registrando i punti di blocco, le possibilità di mediazione, isolando gli ostacoli insormontabili, ecc.

Solo dopo – quando quasi tutto è stato fissato in documenti – intervengono anche fisicamente i capi di stato per sciogliere gli ultimi nodi ed eventualmente firmare i “trattati”.

Immaginarsi Putin, Trump e Zelenskij chini per ore e giorni intorno alle mappe, a disputare sulle centinaia di metri in più o in meno da fissare come “confini”, oppure sulle quantità di armi che in futuro potranno essere stipate in Ucraina, ecc., è pura fantasia. Come sa ogni giornalista di medio livello che in vita sua abbia seguito, sia pure a distanza, una trattativa...

Ciò nonostante tutti hanno cercato di spiegare che questa sarebbe stata la scena clou “se Putin avesse voluto davvero la pace”. Una bestialità falsaria che è stata addirittura fatta propria da Giorgia Meloni in Parlamento...

La partita a Istanbul ha solo due giocatori veri: Russia e Stati Uniti. Perché le “garanzie” davvero strategiche sono quelle che Mosca chiede da almeno venti anni (da quando fu respinta la sua richiesta di adesione alla Nato!). Ossia l’arresto dell’espansione ad Est dell’alleanza atlantica e soprattutto il posizionamento delle testate nucleari a distanza di sicurezza dai confini russi.

E per quanto Francia e Gran Bretagna si pavoneggino con la loro piccola dotazione nucleare, tutti capiscono che non è quella la prima preoccupazione dei vertici russi.

Poi, certo, questa coppia di sciagurati può ancora provocare casini indescrivibili (tipo l’annuncio di Macron di voler posizionare in Polonia i pochi bombardieri nucleari francesi), finalizzati unicamente a far fallire ogni trattativa e continuare la guerra per procura. Ma non ci sono molti dubbi sul fatto che, se Russia e Usa trovano un punto di equilibrio credibile e duraturo, quello diventerà “legge” per tutti.

Il resto sono chiacchiere per giornalisti servi o boccaloni.

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