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03/05/2025

Torna Farage, la crisi britannica ritrova il suo detonatore

Ricordate quel pazzo scatenato che – senza diventare mai primo ministro – alla fine è riuscito ad imporre la Brexit? Beh, è tornato. O, forse, non se ne era mai andato.

Si è appena votato per le elezioni suppletive, in Gran Bretagna, in un collegio del Nord-Ovest: Runcorn e Helsby. E qui Nigel Farage (il suo partito) è riuscito a strappare la vittoria per appena sei voti, conquistando un seggio che era appannaggio “sicuro” del partito laburista. Alle ultime elezioni politiche, quelle che hanno portato a Downing Street quel finto sinistro di Keir Starmer, i laburisti qui avevano trionfato (come sempre, nella storia) lasciando il secondo candidato a 15.000 voti di distanza.

Svaniti in appena dieci mesi... “Merito” di un premier guerrafondaio e antipopolare che dichiara ogni giorno di voler tagliare la spesa sociale per nutrire le ambizioni militari di un paese che non è più da decenni un “impero” ma ancora non si rassegna all’irrilevanza. Basti vedere l’idiozia pericolosa nutrita insieme all’ex banchiere francese, Emmanuel Macron: una “coalizione dei volenterosi” per mandare truppe Nato in Ucraina, col rischio concretissimo di provocare la Terza Guerra mondiale. Non più “a pezzi”, ma tutta intera.

Insieme al collegio “sicuro” – vista la coincidenza con le elezioni amministrative – sono saltati anche centinaia di piccoli comuni, tutti da lungo tempo appannaggio del laburisti. Il che, inevitabilmente, porta a conclusioni piuttosto chiare: se abbandoni, con la tua politica nazionale, anche l’ombra della difesa degli interessi popolari, consegni automaticamente la maggioranza della popolazione all’unica forza politica che – mentendo spudoratamente, certo – si presenta come “fuori dal teatrino della politica”. Populisti reazionari, gente impresentabile che diventa “votabile” solo perché quelli “istituzionali” (laburisti o conservatori che siano) appaiono ormai come partiti nemici.

Dalla padella alla brace, per i poveri elettori che hanno perso ogni riferimento credibile e si comportano perciò in senso stretto come consumatori: oggi voto Tizio, domani Caio, hai visto mai...

Ma questa “volubilità” acefala dell’elettore medio – soprattutto “laburista” – in prospettiva elezioni politiche, diventa un uragano. Sulla carta, il risultato di Reform UK metterebbe a rischio più di 350 dei 411 seggi vinti dal Labour nel 2024. Una cifra più che sufficiente ad ottenere la maggioranza nella Camera dei Comuni (650 seggi), ma soprattutto uno scenario da incubo per il governo Starmer.

Ovviamente, tutti gli analisti consigliano prudenza. Prendere voti alle comunali – o in un collegio – è una cosa, tutt’altra è convincere buona parte del paese a credere che la tua ricetta “volgare e sbrigativa” sia la soluzione giusta per uscire da una condizione di povertà.

Ma proprio qui casca l’asino. Il partito di Farage – “Reform UK” – è già riuscito nell’intento imponendo la Brexit nell’agenda politica britannica. La sua retorica da quattro soldi è stata comunque sufficiente a costringere i Conservatori a spostarsi su una posizione simile, fino a celebrare un referendum che ha sancito la separazione dall’Unione Europea.

Altrettanto ovviamente, non avendo i Tories un programma alternativo al neoliberismo puro e duro, quella “uscita” non è stata affatto un successo. Anzi, il contrario.

Dunque il “piccolo Trump” di Londra è e resta una sciagura reazionaria che può certamente far perdere entrambi i partiti del defunto “bipolarismo liberale obbligato” (e se lo meritano), ma ha ancora quasi zero possibilità di ascendere al governo della Gran Bretagna. Se ci riuscisse, il tracollo del Regno Unito sarebbe certo ancora più rapido.

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