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02/11/2025

Goodbye Hanoi - Gli USA stanno riperdendo il Vietnam

Fino a qualche anno fa sembrava che tra Stati Uniti e Vietnam potesse consolidarsi un futuro diplomatico così promettente da offuscare i legami tradizionalmente privilegiati di Hanoi con due dei principali rivali di Washington, cioè Cina e Russia.

Tra il 2009 e il 2017 ci aveva pensato Barack Obama ad avviare un serio processo di avvicinamento diplomatico tra le parti, inserendo la nazione del Sud Est Asiatico nel pivot to Asia,  la strategia statunitense volta a spostare il baricentro della politica estera Usa verso l’Asia-Pacifico al fine di bilanciare la crescente influenza di Pechino nella regione.

Nel 2013, Stati Uniti e Vietnam siglarono una Comprehensive Partnership, ossia un passo ufficiale verso relazioni stabili e multilivello, dopo decenni di diffidenza post-bellica, mentre tre anni più tardi lo stesso Obama visitò Hanoi e Ho Chi Minh City annunciando la rimozione completa dell’embargo sulle armi.

La diplomazia del bambù del Vietnam

L’avvicinamento si sarebbe intensificato ulteriormente sia sotto la prima presidenza di Donald Trump che durante quella di Joe Biden. E ancora: soltanto due anni fa sembrava che il Vietnam fosse a un passo dall’acquisto di una decina di aerei da trasporto militare C-130 dagli Usa. La notizia generò clamore ma non avrebbe avuto seguito. Già, perché alla fine Hanoi ha intensificato gli acquisti di equipaggiamento militare russo e rafforzato i rapporti economici con la Cina.

Anche se gli Stati Uniti sono rimasti sorpresi dalla doppia mossa di Hanoi, la verità è che il governo vietnamita segue una strategia diplomatica ben precisa: quella, cosiddetta, del bambù. Il termine descrive il modus operandi pragmatico del Paese: radici salde nei valori ideologici e nella difesa dello Stato socialista, ma steli e rami flessibili per adattarsi alle diverse situazioni internazionali.

In campo militare, a completare il quadro, il Vietnam applica i “quattro no”: nessuna alleanza militare formale, nessuna base straniera sul territorio, nessuno schieramento contro un altro Paese e nessun ricorso alla forza per risolvere dispute internazionali.

A tutto questo, bisogna poi aggiungere l’atteggiamento di Trump, per niente interessato – a quanto pare – a tessere relazioni più amichevoli con i membri dell’Asean, visto che il presidente statunitense ha travolto la regione con i suoi dazi commerciali, spingendo molteplici governi ad avvicinarsi a Pechino nel tentativo di attutire le conseguenze delle tariffe Usa.

Gli errori di Trump

Forse Trump, nell’affrontare le questioni asiatiche, dovrebbe accantonare l’approccio da giocatore di poker. Il Vietnam, nel caso specifico, non intende infatti essere una scommessa né tanto meno un attore passivo. Al contrario, Hanoi sta dimostrando di avere il potenziale per ritagliarsi uno spazio d’azione internazionale sempre più indipendente e in linea con il mondo multipolare.

Sia chiaro: il governo vietnamita è ben felice di mantenere buoni rapporti con Washington ma, allo stesso tempo, non intende affatto chiudere (o allentare) quelli con nessun altro per compiacere Trump. Il New York Times sostiene addirittura che in Vietnam sia cresciuta a dismisura l’esasperazione nei confronti degli Stati Uniti.

I motivi sono da ricercare negli ultimi avvenimenti decisi dall’amministrazione Trump: eliminazione degli aiuti statunitensi per l’energia pulita e per la prevenzione dell’Hiv; tariffe doganali in rialzo; indifferenza alle richieste di un incontro tra i leader per risolvere la pratica dazi; e, ciliegina sulla torta, la nuova tassa sulle importazioni Usa di mobili (e prodotti in legno) Made in Vietnam, uno dei settori prioritari per la crescita del Paese asiatico.

Nel frattempo diversi partner Usa in Asia – dal Giappone alla Corea del Sud, passando per l’Australia – temono che Trump stia perdendo Hanoi...

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