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10/10/2013

Chi si difende da chi?

Un muro di divisione tra Turchia e Siria. A costruirlo, come annunciato due giorni fa, è il governo di Ankara nell'obiettivo dichiarato di difendersi da ingressi illegali, contrabbando di armi, jihadisti e rifugiati.

La realtà dei fatti, dopo due anni di guerra civile in Siria, appare diversa. Fin dalla metà del 2011, il governo turco è impegnato in una dura offensiva contro il regime di Assad. Una politica che segue ad anni di relazioni ottime tra Siria e Turchia, a livello economico e politico, che da due anni Erdogan cerca di ribaltare.

Ultime in ordine di tempo le decisioni di aumentare il numero di truppe dispiegate al confine e di estendere di un anno la risoluzione che autorizza un intervento armato contro la Siria se necessario. Decisioni che seguono al dispiegamento di missili Patriot, puntati verso Damasco e sponsorizzati da Unione Europea e Stati Uniti e al sostegno indefesso garantito alle opposizioni siriane.

Da subito Erdogan ha aperto le porte della Turchia ai vari gruppi di opposizione, facendo di Istanbul e Ankara il luogo privilegiato di meeting e incontri della Coalizione Nazionale Siriana. E se l'appoggio ai ribelli moderati è sempre avvenuto alla luce del sole, con l'altra mano la Turchia ha garantito e garantisce sostegno logistico ai gruppi islamisti. È di poco tempo fa la notizia apparsa sulla stampa americana, secondo la quale la CIA addestra e rifornisce di armi gruppi di ribelli in Giordania e Turchia, armi fornite dal Qatar e poi entrate in Siria attraverso il confine turco.

Un vero e proprio ponte aereo, secondo il Los Angeles Times: dal Qatar partono le armi che attraverso la Turchia arrivano in Siria, a rifornire i gruppi di insorti. Ma ormai da mesi il Sud della Turchia è diventato il rifugio logistico e organizzativo di gruppi di ribelli, moderati e non. Tra loro gli islamisti del Fronte al Nusra, compagine tra le più organizzate militarmente e con un obiettivo chiaro: imporre la Shariaa alla nuova Siria del post-Assad. Un sostegno concreto quello di Erdogan che non piace a gran parte della popolazione turca, esercito in testa, potere laico che il premier ha saputo negli anni mettere in un angolo.

Al sostegno militare, si aggiunge quello diplomatico. Fin dallo scoppio del conflitto siriano, la Turchia ha agito unilateralmente con sanzioni economiche personali contro Damasco, mettendo fine ad una lunga alleanza strategica: sospesi prestiti finanziari e interrotte tutte le transazioni tra la Banca Centrale siriana e quella turca, congelati i trasferimenti di equipaggiamento militare all'esercito governativo siriano.

Quale il reale obiettivo di Erdogan? Con un Egitto ancora debole e alle prese con un colpo di Stato che ha riacceso le mai sopite divisioni interne, la Turchia punta alla leadership regionale. Con un governo figlio della Fratellanza Musulmana, Ankara è da due anni impegnata in una battaglia per la conquista politica della regione. Un obiettivo a cui seguono politiche chiare: stretta alleanza con la Nato, rapporti economici e militari con Israele, una politica durissima contro il regime di Assad.

Finora i tentativi di scalata di Erdogan non sembrano funzionare: il crollo dell'Islam politico in Nord Africa e la resistenza del regime di Damasco impediscono al rais turco di cantare vittoria. Il rischio ora è alto: la presenza di frange di jihadisti nel Paese sta creando seri problemi a Sud, dove è in corso il tentativo di negoziato con il PKK. Il mostro creato da Ankara diventerà sempre meno gestibile.

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