Sono seduti sulla prima riserva mondiale di petrolio, eppure piangono
miseria. I Sauditi non ci stanno e affidano a Twitter lo sfogo per
quello che considerano un "furto" da parte dello Stato: con l'inflazione
alle stelle, i soldi non bastano più. E in un Paese che vieta le
manifestazioni di strada, la protesta diventa telematica. La campagna
sul social network, lanciata all'inizio dell'estate con l'hashtag "Lo stipendio non basta più" ha raccolto più di 17,5 milioni di tweet in pochi mesi,
raggruppando il malcontento di quella classe media di funzionari che
lamenta salari inferiori rispetto ai vicini del Golfo e chiede a re
Abdallah di aumentare per decreto gli stipendi dei dipendenti del Regno.
"La corruzione - twitta il giornalista Fahd al-Fahid - si è presa tutto
e il popolo ne è la vittima". Tra i post, ci sono foto che tentano di
mostrare la miseria crescente nel Regno wahhabita: una donna che fruga
nell'immondizia, famiglie che vivono in case fatiscenti, scolari
schiacciati in vecchie camionette. Con le riserve in oro e in valuta
estera che sfiorano i 700 miliardi di dollari, il primo esportatore
mondiale di greggio distribuisce ai suoi dipendenti pubblici stipendi
che vanno dai 1.051 ai 6.599 dollari. Nel settore privato, invece, il
salario medio è di 1.700 dollari contro i 4.000 delle petromonarchie
vicine, secondo uno studio realizzato di recente della Banca Mondiale in cooperazione con il Ministero dell'Economia saudita.
Alcuni tweet puntano il dito contro i finanziamenti all'estero: in una
caricatura postata si vede un saudita sotto una palma, con le mani
rivolte verso l'esterno del Regno, con la scritta "i nostri beni vanno
agli altri: il regno riceve il 5 per cento, l'Estero il 95 per cento".
Un chiaro riferimento all'annuncio fatto da Riyadh di aiuti per cinque miliardi di dollari destinati all'Egitto dopo il colpo di stato militare compiuto contro l'ex presidente Mohammed Morsi.
Ma il vero problema è un altro. "L'inflazione - spiega l'economista
Abdallah al-Almi all'AFP - e l'aumento continuo dei prezzi hanno
influenzato seriamente il potere d'acquisto dei cittadini". La
popolazione saudita, sempre più consumista, deve inoltre fare i conti
con un mercato del lavoro quasi interamente dominato dagli stranieri che
vengono principalmente dal sud-est asiatico e che non rifiutano mai i
salari bassi. Con un tasso di disoccupazione attestato al 12,5 per
cento che tocca principalmente i giovani - il 60 per cento della
popolazione saudita - e con i pochi risultati ottenuti per ora dalle
politiche di "saudizzazione" del lavoro lanciate per paura di rivolte in
stile primavera araba, il risultato, come fa notare il consulente
economico Zeid al-Roummani, è che "circa l'80 per cento della
popolazione ormai vive di prestiti bancari".
Come se non bastasse, si è aggiunta anche la crisi del mercato
immobiliare che, con l'impennata dei prezzi delle abitazioni pesa
enormemente sugli scarni stipendi sauditi. "L'aumento dei prezzi degli
immobili, ormai fuori controllo, è un crimine", twitta Abdelhamid
al-Amri. La situazione è simile nel vicino Kuwait, dove un gruppo di
giovani militanti ha lanciato due campagne su Twitter per esortare le
autorità ad accelerare la costruzione di alloggi per più di 100 mila
famiglie meno abbienti che aspettano una casa anche da 15 anni. Troppo,
per paesi che contano i Pil pro-capite più alti del mondo.
Fonte
Sono seduti sull'oro e hanno la nostra stessa disoccupazione... quando sì dice che tutto il mondo è paese...
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