di Michele Paris
L’ennesima
crisi costruita attorno alla spesa pubblica negli Stati Uniti che sta
mettendo di fronte in questi giorni democratici e repubblicani al
Congresso ha alla fine determinato il temuto “shutdown” del governo e la
chiusura di buona parte degli uffici governativi per la prima volta da
17 anni a questa parte. La definitiva rottura è avvenuta sulla
controversa “riforma” del sistema sanitario di Obama del 2010, la cui
entrata in vigore l’ala conservatrice dei repubblicani alla Camera dei
Rappresentanti voleva bloccare o quanto meno rimandare in cambio del via
libera al bilancio federale per il nuovo anno fiscale iniziato alla
mezzanotte di martedì 1° ottobre.
La minaccia di svariate decine
di deputati repubblicani legati ai “Tea Party” di bloccare i fondi
federali era apparsa in tutta la sua evidenza già un paio di settimane
fa, quando la Camera aveva sì approvato il bilancio 2013-2014
aggiungendo però una clausola che avrebbe privato la riforma sanitaria
dei fondi necessari per la sua implementazione. Per tutta risposta, la
settimana scorsa la maggioranza democratica al Senato aveva tolto dal
testo del provvedimento la parte relativa alla riforma sanitaria,
nonostante i tentativi di impedire questa mossa da parte soprattutto del
repubblicano del Texas Ted Cruz, licenziando a propria volta il
bilancio per il nuovo anno finanziario e rimandando il pacchetto
legislativo alla Camera.
Nella mattinata di domenica, la
leadership repubblicana di quest’ultimo ramo del Congresso aveva
rilanciato, approvando nuovamente il bilancio - sia pure provvisorio,
così da tenere aperti gli uffici governativi fino a metà dicembre - ma
aggiungendo una serie di provvedimenti per colpire la riforma definita
“Obamacare” che riassumono quasi tutte le critiche ad essa rivolte dagli
ambienti conservatori americani. In particolare, i repubblicani alla
Camera avevano chiesto il già ricordato rinvio dell’entrata in vigore
previsto sempre per martedì di uno dei punti centrali della riforma
sanitaria - l’obbligo di acquisto di una polizza assicurativa privata da
parte di quasi tutti gli americani - approvando allo stesso tempo la
soppressione di una tassa sui dispositivi medici che dovrebbe generare
quasi 30 miliardi di dollari per contribuire a finanziare la riforma
stessa.
Di fronte alla linea dura della destra repubblicana,
accettata in maniera riluttante dallo “speaker” John Boehner per cercare
di evitare ulteriori attacchi alla sua leadership dagli ambienti vicini
ai “Tea Party”, il numero uno dei democratici, Harry Reid, si era
rifiutato di convocare il Senato nella giornata di domenica per provare a
stringere i tempi e trovare una soluzione all’impasse.
Così,
il tira e molla al Congresso si è concluso come previsto lunedì, con il
Senato che ha dato l’OK al bilancio provvisorio stralciando ancora una
volta gli emendamenti repubblicani relativi alla riforma sanitaria.
Successivamente, la Camera ha passato un ulteriore piano di
finanziamento del governo con una proposta per ritardare l’inizio della
riforma sanitaria, iniziativa arenatasi meno di un’ora dopo al Senato.
La mancanza di un accordo dell’ultimo minuto ha fatto scattare così lo
“shutdown”, ordinato ufficialmente poco dopo la mezzanotte dall’Office
for Management and Budget.
Le ipotesi circolate nelle ore
precedenti di possibili compromessi se i democratici avessero accettato
di inserire nel bilancio almeno una delle richieste repubblicane
relative alla riforma sanitaria – come la cancellazione della tassa del
2,3% sui dispositivi medici o la fissazione di un limite ai sussidi
pubblici previsti per l’acquisto di una polizza sanitaria da parte degli
stessi parlamentari e dei membri dei loro staff – sono invece andate a
vuoto, rimandando alle prossime ore una possibile misura di emergenza da
negoziare però in un’atmosfera avvelenata.
La mancata
approvazione del nuovo bilancio ha in ogni caso gravi conseguenze
soprattutto per i dipendenti pubblici, dal momento che almeno 825 mila
di questi ultimi verranno messi subito in congedo senza stipendio,
mentre a un altro milione verrà chiesto di lavorare ugualmente senza
retribuzione. I servizi pubblici essenziali continueranno invece ad
essere garantiti, così come non verranno intaccate le operazioni
dell’apparato della “sicurezza nazionale”, anche se la riduzione del
personale di molti uffici governativi potrebbe avere conseguenze
sgradite, come ad esempio la sostanziale sospensione delle attività di
controllo e regolamentazione dell’Agenzia per la Protezione Ambientale
(EPA) e della Food and Drug Administration nell’ambito della sicurezza
alimentare.
Implicazioni ancora più preoccupanti, secondo gli
osservatori, potrebbe avere poi quella che già si preannuncia come la
prossima battaglia al Congresso, quella cioè sull’innalzamento del tetto
del debito USA. Se il livello di indebitamento del governo federale non
verrà aumentato entro il 17 ottobre, infatti, gli Stati Uniti
rischieranno il default per la prima volta nella loro storia e,
prevedibilmente, anche in occasione di questa scadenza i repubblicani
cercheranno di ottenere concessioni per ridurre la spesa pubblica e
riproporranno i loro attacchi alla riforma sanitaria.
Una parte
del Partito Repubblicano, peraltro, non condivide la battaglia condotta
dai loro colleghi più conservatori su “Obamacare”, poiché teme che
l’intransigenza di questi ultimi possa trasformarsi in un boomerang e
consentire ai democratici di incolpare il partito stesso per l’eventuale
paralisi del governo.
I
deputati legati ai “Tea Party” continuano però nel tentativo di
avvantaggiarsi della più che legittima ostilità diffusa tra gli
americani per la riforma sanitaria voluta da Obama, correttamente vista
come una legge che produrrà una riduzione delle prestazioni e un aumento
dei costi, anche se i loro attacchi ad essa vengono in realtà portati
da destra, visto che essi vorrebbero un sistema sanitario ancora più
deregolamentato.
Più in generale, nonostante il livello apparente
dello scontro al Congresso, il clima apocalittico che viene creato ad
arte da media e politici americani in occasione delle varie scadenze
relative al finanziamento del governo o al debito federale finisce
puntualmente per risolversi in nuovi e pesantissimi tagli alla spesa
pubblica che entrambi i partiti in larga misura condividono.
Come
già accaduto in almeno quattro occasioni negli ultimi tre anni - tra
cui in occasione del dibattito sul cosiddetto “fiscal cliff” o
precipizio fiscale alla fine del 2012 - il teatrino di Washington
prevede appunto che i repubblicani propongano misure di austerity
estremamente drastiche da implementare il prima possibile.
Successivamente, i democratici si atteggiano a difensori delle classi
più disagiate che da quei tagli sarebbero maggiormente colpite per poi
accettare tagli alla spesa solo leggermente meno devastanti e, se
possibile, raccogliere i benefici politici per avere magari salvato
qualche simbolico programma pubblico di assistenza.
Nel
frattempo, il baricentro politico negli Stati Uniti si è spostato sempre
più a destra e durante l’amministrazione Obama non solo sono spariti
dal bilancio federale svariate migliaia di miliardi di dollari destinati
alla spesa pubblica ma anche programmi come Medicare, Medicaid e Social
Security, tradizionalmente considerati intoccabili, sono finiti o
finiranno sotto la scure bipartisan.
Tutto ciò proprio mentre gli
effetti della crisi economica renderebbero ancora più necessario il
sostegno alle fasce più deboli della popolazione e, soprattutto, dopo
che la Fed e il governo americano continuano a mettere a disposizione
una quantità di denaro virtualmente illimitata alla speculazione di Wall
Street.
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