Domani la Costituzione tunisina passerà per il voto definitivo del
Parlamento. Esattamente a tre anni dalla caduta del regime di Ben Ali,
il Paese compie un altro passo nel processo lungo e accidentato -
costellato di crisi interne, omicidi politici e manifestazioni di massa -
verso la stabilità e la democratizzazione.
La Tunisia che abbraccia il nuovo testo costituzionale, lodato da più
parti come una carta democratica e progressista, non è un Paese
pacificato. Le differenze socio-economiche che portarono il popolo
tunisino in piazza a dicembre del 2010 permangono, soprattutto nelle
aree più povere e marginalizzate.
Oggi però è giorno di festa: "Finalmente abbiamo raggiunto questo
momento", ha commentato il presidente del parlamento Mustafa Ben Jaafar.
Restano da parte le diatribe interne tra il partito islamista di governo Ennahda e le forze liberali e di sinistra,
impegnati nell'ultimo periodo nel raggiungimento di un accordo per la
creazione di un governo tecnico che conduca il Paese alle elezioni
presidenziali.
Il nuovo primo ministro, Mehdi Jomaa, ha promesso al popolo tunisino la
nomina di un nuovo esecutivo dopo l'approvazione definitiva del testo
costituzionale, mentre Ennahda annunciava un incontro lunedì per la
firma della nuova costituzione.
Il lavoro non è però terminato: "Sto provando a immaginare quali saranno
le prossime sfide - ha detto Amira Yahyaoui, presidente
dell'organizzazione che monitora l'attività dell'Assemblea Costituente -
C'è ancora lavoro da fare per gli attivisti dei diritti umani in
Tunisia. Dobbiamo combattere per assicurare il rispetto della
costituzione e per impedire la violazione dei diritti umani
riconosciuti".
Una costituzione figlia della rivoluzione che nel suo primo articolo
sancisce l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, una
scelta unica nel mondo arabo frutto delle pressioni delle formazioni
laiche del Paese. Dalla costituzione resta fuori la legge islamica, la Shari'a,
che non è considerata base del diritto, mentre entrano i diritti dei
prigionieri, il divieto di tortura e l'uguaglianza uomo-donna (seppur la
Tunisia abbia da tempo un articolo che tutela l'uguaglianza di genere).
Il lavoro da fare è ancora molto: le ragioni che spinsero il Paese,
giovani in testa, a lanciare una rivoluzione contro il vecchio regime
sono ancora saldamente presenti. A tre anni dalla rivolta contro Ben
Ali, il governo islamista non è stato in grado di dare nuovo vigore
all'economia tunisina, a creare nuovi posti di lavoro e a ridurre i gap
economici e sociali tra la popolazione del Paese. Secondo l'Istituto
Nazionale di Statistica, oggi il tasso di disoccupazione nazionale è
pari al 15,7%, ma sale al 20-29% in città come Siliana, Gabes o Sidi
Bouziz, luogo di inizio della rivoluzione tunisina: le periferie e
il Sud del Paese continuano ad essere marginalizzate dalle politiche del
governo e, come spiegava Mohammed Miraoui, capo del sindacato di Gafsa,
"non un singolo progetto di investimento è stato realizzato dal 2012 ad
oggi".
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