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27/01/2014

Le incoffessabili verità dell'Italicum

Liste di candidati in collegi plurinominali a cambiare il nome delle liste bloccate, ripartizione proporzionale dei seggi su base nazionale, alte soglie di sbarramento, premio di maggioranza, eventuale secondo turno di ballottaggio per l’assegnazione del premio di maggioranza. Questo, in cinque punti, l’impianto base della legge elettorale sul quale Renzi e Berlusconi hanno trovato l’accordo.
Una proposta dichiarata inemendabile, in quanto l’insieme ideato ha dei suoi perché e dove tutto può crollare se solo si prova a farne saltare uno.
Un punto di equilibrio difficilmente comprensibile, a meno di non prendere atto che si tratta di un tentativo con la chiara finalità di resuscitare, sotto altre forme, tutti i difetti incostituzionali del Porcellum.

Non ci si faccia ingannare, ad esempio, dalla ripartizione proporzionale dei seggi calcolata a livello nazionale, piuttosto che a livello di piccole circoscrizioni elettorali, così come ad esempio previsto dal modello spagnolo.
Si tratta di una scelta di fatto obbligata, direttamente conseguente all’altra scelta finalizzata a garantire la governabilità a tutti i costi: l’assegnazione di un premio di maggioranza che, per effetto della sentenza della Consulta, deve essere di entità certa e, quindi, necessariamente calcolato sulla base dei voti ricevuti e non dei seggi ottenuti.
Per effetto delle soglie di sbarramento, infatti, anche se di entità minore, esplicitamente od implicitamente determinate dai meccanismi adottati, la prima forza politica potrebbe facilmente ottenere il 35% dei seggi pur conseguendo una percentuale di voti minore. Il che ci  farebbe trovare nuovamente di fronte ad un premio di maggioranza indeterminato e certamente incostituzionale.
In altre parole: premio di maggioranza e soluzioni che non facciano direttamente riferimento ai voti effettivamente ricevuti (metodo spagnolo o, peggio ancora, il Mattarellum), non possono convivere.

Altra scelta obbligata, le alte soglie di sbarramento, in modo particolare quella dell’8% per le liste non coalizzate.
Ovviamente, da parte di Renzi e Berlusconi l’interesse per le alte soglie di sbarramento è direttamente legato al desiderio di costringere gli elettori a subire il ricatto del voto utile: per amore o per forza, ciò che conta è solo il voto indirizzato verso le forze politiche maggiori.
Ma al di là di questo gravissimo condizionamento del libero esercizio del diritto di voto e l'esclusione dalla rappresentanza di milioni di elettori, anche la scelta di non consentire il ritorno al voto di preferenza e, al tempo stesso, rimanere nell’ambito dei limiti desunti dalla sentenza della Consulta, può di fatto determinare altri effetti a cascata.
Per tentare di superare le obiezioni della Corte Costituzionale, l’Italicum ha sostituito le lunghe liste di candidati bloccate del Porcellum, adottando liste più corte, altrettanto bloccate, ora definite “liste di candidati concorrenti in collegi plurinominali”.
Da qui, pertanto, la scelta obbligata della suddivisione delle circoscrizioni elettorali in un numero elevato di collegi che eleggono da 3 a non più di 6 candidati.
Dato, però, che la ripartizione dei seggi, per i motivi sopra evidenziati, può essere fatta solo a livello nazionale, in un buon numero di questi collegi plurinominali verranno eletti candidati che, per il voto di lista ottenuto, risulteranno aver preso meno voti di candidati di altre liste però non eletti.
E quale miglior soluzione, per ridurre a livelli trascurabili questa sorta di incongruente traduzione del voto locale in seggi nazionali, se non l’esclusione delle forze minori attraverso l’introduzione di alte soglie di sbarramento?
Per questo motivo, risultano oltremodo stravaganti le contraddittorie richieste di modifica provenienti dalla minoranza del PD, anch’essa contraria al ritorno del voto di preferenza.
Per evitare le liste bloccate, anche se corte, si propone di trasformare i collegi plurinominali in collegi uninominali.
Ma se la ripartizione dei seggi rimane di tipo proporzionale e calcolata su base nazionale, molti di questi collegi uninominali finirebbero per essere assegnati anche a chi potrebbe aver preso meno voti di tutti, rendendo ancor più evidente l’anomalia dell’incongruente traduzione del voto locale in seggi nazionali già sopra segnalata.
Per concludere sul punto, i collegi plurinominali corti o cortissimi, finalizzati a non restituire il voto di preferenza, di fatto implicano, per non avere risultati difficilmente comprensibili sotto il profilo logico dell’assegnazione dei seggi, l’esclusione quanto più ampia possibile delle forze minori.

Ma come e perché da parte del PD e Berlusconi non c’è alcun interesse per il ritorno al voto di preferenza?
Le ragioni elencate a livello ufficiale sono sempre le solite: le preferenze (da segnalare che la Consulta ha indicato il ritorno alla preferenza unica e non alle multipreferenze) sarebbero la fonte di ogni male, in quanto in grado di alimentare fenomeni di malcostume, voto di scambio e quant’altro, per arrivare, infine, alla mano influente della mafia.
Chi e cosa, però, potrebbe impedire che problemi della stessa natura possano verificarsi anche con le primarie, in misura maggiore visti gli ambiti più ristretti, mai nessuno l'ha spiegato.
Peraltro, è abbastanza curioso che ci si lamenti delle distorsioni che potrebbero derivare dal voto di preferenza, quando sono i partiti a candidare, per essere eletti, personaggi di dubbia qualità.
Si faccia sparire la gentaglia dalle liste, così come anche i nomi di grido messi lì per attrarre facili consensi, e qualsiasi scelta potrà derivare dal voto di preferenza sarà in ogni caso preferibile al sistema propagandato da Renzi e Berlusconi.

Lasciando quindi da parte motivazioni che hanno ben poco fondamento, la decisione di non tornare al voto di preferenza è sostanzialmente dovuta alla logica dell’asso piglia tutto insita nei sistemi maggioritari.
Se passerà l’Italicum, Casini l’ha già detto: lasciate perdere le simulazioni, perché alle prossime elezioni le scelte delle forze politiche di centro saranno completamente diverse.
Con la soglia di sbarramento all’8% per i non coalizzati o al 5% per le liste coalizzate, per Casini le possibilità di essere rieletto sono meno di zero. Ma i voti che può portare Casini, per quanto pochi, se si spostano da una coalizione all’altra valgono doppio.
Ed è per avere questi voti che le liste bloccate possono fare la differenza, garantendo l’elezione di un discreto numero di candidati provenienti dai piccoli ma decisivi partitini ai fini della conquista del premio di maggioranza.
Né più e né meno di quanto abbiamo già visto ai tempi del Mattarellum: fosse dipeso dalla quota proporzionale, nel 2001 il CCD-CDU non avrebbe fatto ingresso in Parlamento. Riuscì invece a formare un ampio gruppo parlamentare grazie agli eletti provenienti dalla quota maggioritaria dei collegi uninominali.

Un’annotazione, infine, sul doppio turno per l’assegnazione del premio di maggioranza, altra scelta obbligata dalla logica che fa della governabilità a tutti i costi, che per inciso non esiste da nessuna parte, un Dio da adorare senza alcuna esitazione.
Ben sapendo che allo stato attuale nessun partito o coalizione potrebbe ottenere il 35% dei voti, e non contenti delle forti soglie di sbarramento che già da sole costringono l’elettore a subire il ricatto del voto utile e ad escludere milioni di elettori dalla rappresentanza, si aggiunge l’ulteriore previsione del doppio turno: “Non ci avete votato al primo turno? Bene, sarete costretti a subire la forzatura bipolare con il voto del secondo turno. E se continuerete a non votarci rimanendo a casa, in ogni caso conta chi vota”.
Ma una simile forzatura, un correttivo che si aggiunge ad altri correttivi, quanto può essere ritenuta compatibile con la sentenza della Consulta?
Ciò che infatti manca nel doppio turno dell’Italicum, è la previsione, al fine di garantire una corretta rappresentazione della sovranità popolare, così come appunto indicato dalla Corte Costituzionale, di una soglia minima di voti in relazione, però, ai votanti del primo turno.
L’alterazione della rappresentanza nazionale, derivante dall’assegnazione del premio di maggioranza dopo il ballottaggio, a quale espressione della sovranità popolare dovrebbe far riferimento al fine di verificare la compatibilità del correttivo adottato con quanto, nell’insieme, è previsto dall’ordinamento costituzionale?
Alla sovranità popolare espressa dai votanti del primo turno, o a quella che, in ipotesi, potrebbe essere espressa da un numero inferiore di votanti del secondo turno?

Certamente, la previsione di una soglia minima di voti da raggiungere anche nel ballottaggio, direttamente correlata ai votanti del primo turno, potrebbe in parte ridurre il ricatto del voto utile da dover per forza esprimere nel secondo turno, ed è per questo che, difficilmente, da una delle forze politiche maggiori potrà giungere un qualche segnale di tipo innovativo in tal senso, nonché coerente con i principi fissati dalla sentenza della Consulta contro le porcate incostituzionali del Porcellum.

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