La città portuale di Tripoli, Libano settentrionale |
Non è la prima volta che il conflitto siriano supera i suoi confini e fa vittime nel Paese dei cedri che ospita la maggioranza dei due milioni di profughi siriani ed è teatro di attentati e omicidi mirati legati alla guerra. Il Libano è diviso tra i sostenitori e gli oppositori di Assad, ma è anche alle prese con crisi economica e con uno stallo politico che rischiano di far crollare un sistema fragile, segnato da rivalità politiche e confessionali.
Oggi Tripoli, una città che è diventata negli ultimi tre anni il fronte libanese della guerra siriana, si è risvegliata sotto un inteso scambio di artiglieria tra i quartieri rivali di Jabal Mohsen, dominato dal clan alawita (Assad è un alawita), e di Bab al-Tebbaneh, a maggioranza sunnita. Entrambi foraggiati da Stati stranieri (Damasco sostiene la minoranza alawita, mentre Riad gli sceicchi salafiti) e coperti dai politici e dalle forze di sicurezza libanesi. L'autostrada che dalla capitale del Nord porta ad Akkar è chiusa e sono chiuse anche le scuole e le moschee. Tripoli è ostaggio dei clan rivali che si danno battaglia da quasi tre anni e che hanno portato alla militarizzazione di questo centro portuale.
Anche questa città è stata ferita da attentati e omicidi mirati: il 23 agosto scorso due autobombe vicino alle moschee di al Taqwa e di Salam hanno fatto 42 morti e 500 feriti e a metà novembre è stato assassinato il religioso sunnita sheikh Saadeddin Ghiyeh, punito per essersi schierato con Assad ed Hezbollah che ha mandato i suoi uomini a combattere al fianco delle truppe fedeli al presidente siriano.
Ieri, invece, è stata la capitale Beirut a ripiombare nel terrore: un'autobomba nel quartiere meridionale di Dahiyeh, a maggioranza sciita e roccaforte di Hezbollah, ha ucciso quattro persone e ne ha ferite 35. Questo ennesimo attentato contro il Partito di Dio è stato rivendicato dal Fronte al-Nusra, organizzazione qaedista che lotta in Siria contro il Presidente siriano Bashar al-Asad.
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