Ogni volta che scompare un artista prestigioso, che durante la sua vita abbia dimostrato sensibilità sociale e politica, la grande stampa s’impegna nel ripulirne la biografia dai fatti che possono essere fastidiosi per il potere. Questa operazione si articola in genere in due diverse direzioni: dapprima l’esaltazione degli aspetti artistici “geniali” e “immortali” del personaggio e la sua collocazione in un Olimpo di eletti al di fuori della storia e della società e subito dopo la cancellazione, appunto, di quanto può disturbare il potere borghese.
La maggior parte di quanto si è letto in questi ultimi giorni sulla figura di Claudio Abbado non si sottrae, purtroppo, a questa regola. Abbado è stato esaltato oltre ogni limite come grande direttore d’orchestra, che in effetti era, ma distorcendo e tacendo molti avvenimenti relativi alla sua vita e al suo stesso stile di direzione. E’ bene ricordare sempre che non solo ciò che si dirige è frutto di scelte culturali che sono anche politiche, ma anche come lo si dirige non sfugge alla storia e alle contraddizioni della società. Per esempio, sono fuori luogo certe associazioni che hanno voluto collocare Claudio Abbado, nell’Olimpo degli eletti di cui accennavo, accanto a direttori del passato come Wilhelm Furtwängler e Herbert Von Karajan. Il primo di costoro, profondamente compromesso con il regime nazista, non si limitò a essere presente nei festival e nelle celebrazioni di regime, ma adottò uno stile di direzione che fece della musica uno dei collanti ideologici del nazismo e del controllo che esso esercitò sulle masse. Quanto al secondo, che detiene il non invidiabile primato di essersi iscritto per due volte al Partito Nazionalsocialista, continuò nel dopoguerra a seguire uno stile roboante, grandioso e divistico e costruì intorno a sé l’immagine del genio fuori della storia che tanto piace alla critica borghese. In questa chiarezza sul fatto che anche dirigere un’orchestra è un fatto politico, Abbado è stata una personalità ben diversa da molti altri direttori e non solo dai due esempi citati.
Pur rivestendo spesso incarichi in grandi istituzioni, l’interpretazione stessa, da parte di Abbado, del ruolo del musicista nella società, è stata diversa da quella di molti altri grandi personaggi.
Abbado giunse alla direzione della Scala nel 1968, quindi in un momento molto particolare della nostra storia, quando gli studenti contestavano a pennellate di minio sugli abiti da sera le prime del teatro milanese, chiuso alle innovazioni musicali quanto alla presenza delle classi popolari. Uno dei suoi primi atti fu l’organizzazione di concerti per studenti e lavoratori in collaborazione con i sindacati, ma non si trattò di concerti di stile “popolare”, bensì di una programmazione di alto livello, in cui furono inserite opere contemporanee, che avvicinavano tale pubblico a una musica da cui era sempre stato escluso.
Negli anni settanta, Claudio Abbado fu, con altri musicisti e musicologi, come Luigi Nono, Maurizio Pollini e Luigi Pestalozza, uno dei protagonisti delle esperienze emiliane, e soprattutto reggiane, che si proponevano di far uscire la musica dalle abituali torri d’avorio, organizzando concerti in luoghi non tradizionali, case del popolo, centri ricreativi, luoghi di lavoro. Occasioni in cui l’esecuzione della musica era associata alla discussione di quanto si suonava, al ruolo dell’arte e del musicista nella società con dibattiti che si protraevano sino a notte. Momenti in cui il pubblico non era solo spettatore, ma formulava osservazioni e diventava parte attiva dell’esperienza musicale. Non è un caso che in un’esperienza svoltasi a Prato gli stessi promotori che ho citato, avessero cercato la collaborazione musicale di musicisti amatoriali e delle bande musicali locali. La partecipazione a questi progetti si intrecciava, per Abbado, con il lavoro più istituzionale, spesso orientato alla collaborazione con compositori e musicisti di grande impegno, come accadde, per esempio, nel 1975, con la prima messa in scena mondiale, per la Scala, ma nella sede del Teatro Lirico di Milano, di Al gran sole carico d’amore, opera che Luigi Nono dedicò proprio ad Abbado e Pollini. Un’opera che non mancò di scatenare le critiche di coloro che non sopportavano di vedere rappresentata sul palco scaligero un’opera rivoluzionaria, con testi di Brecht, Marx, Che Guevara, Haidé Santamaria e molti altri esponenti del mondo comunista e antimperialista. Proprio la stretta collaborazione con Luigi Nono è stata uno degli elementi chiave della carriera artistica di Abbado.
Non mancano, nella carriera di Abbado, anche posizioni elegantemente provocatorie, come fu quella di chiedere come cachet per un concerto alla Scala che la giunta di Letizia Moratti mettesse a dimora novantamila alberi nella provincia di Milano, per migliorarne aspetto e clima.
Sempre molto interessato al valore che l’arte e in particolare la musica possono avere per il riscatto del classi popolari, Abbado aveva rivolto la sua attenzione, nel nuovo secolo, all’educazione musicale dei giovani, compiendo viaggi a Cuba e in Venezuela, per promuovere e dirigere orchestre giovanili, in particolare legate, in quest’ultimo paese, al “Sistema” Abreu. Ipotizzò anche un adattamento al nostro paese di quest’ultimo “sistema”.
Per quanto riguarda la produzione artistica destinata all’educazione musicale, è stata molto ricordata, in questi giorni, la brillante e divertente incisione di Pierino e il lupo che Abbado realizzò con Roberto Benigni e con l’Orchestra Mozart, recentemente sciolta nell’indifferenza istituzionale e privata per mancanza di fondi. Si tratta di una bella incisione, ma è singolare che praticamente nessun giornale abbia ricordato un altro lavoro di Abbado destinato alle scuole. Si tratta di un importante DVD alla cui produzione Abbado aderì con entusiasmo, coinvolgendovi i Berliner Philarmoniker, di cui era diventato direttore per scelta degli orchestrali dopo la lunga gestione di Von Karajan. In tale DVD le note de Il canto sospeso di Luigi Nono s’intrecciano con immagini della seconda guerra mondiale e dei lager, con quadri di Picasso, Goya e altri pittori. Si tratta di un DVD prodotto in Germania, anche in versione italiana, che ha avuto però scarsa diffusione nel nostro paese. L’intenzione è quella di far conoscere in modo efficace e appassionante Il canto sospeso di Nono ai giovani. E’ noto che quest’opera di Nono, scritta a metà degli anni cinquanta, si avvale, come testo, di lettere di condannati e condannate a morte della Resistenza europea, tra cui alcuni dei paesi dell’Europa orientale. Questo creò infinite difficoltà alla messa in scena del lavoro, negli anni della guerra fredda e della restaurazione democristiana, tanto che la prima avvenne in Germania. Si tratta di un’opera che più d’ogni altra indica ai giovani quali siano le basi su cui avrebbe dovuto fondarsi un’Europa rinata dall’orrore del nazismo, del fascismo e della seconda guerra mondiale. Ancora una volta, quindi, la ricostruzione dell’opera di Abbado è stata amputata di un passaggio scomodo al potere.
E’ evidente che nella lunga carriera professionale di Abbado si potrebbero trovare forse anche momenti di incoerenza, ma questo non scalfisce il carattere generale della sua opera che è e resta quella di un musicista consapevole del fatto che la musica è nella storia e la storia è nella musica, e che essa non deve avere come fine né quello di “mettere al passo” le masse popolari né di celare le contraddizioni che agitano la società, ma piuttosto di agire sulle coscienze per demistificarle ed evidenziarle.
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