Nonostante sporadici episodi di violenza e le accuse delle forze ribelli
di attacchi alle loro posizioni da parte dell'esercito governativo, ha
retto il cessate il fuoco firmato giovedì sera ad Addis Abeba tra il governo del presidente Salva Kiir e le milizie fedeli al suo ex vice Riek Machar.
La tregua, arrivata dopo settimane dall'avvio dei negoziati in Etiopia
sotto l'egida dell'Intergovernamental Authority on Development (IGAD),
rappresenta il primo passo verso un accordo di pace definitivo per cui i
negoziati sono ancora in corso e in vista del quale ambo le parti si
ritroveranno attorno a un tavolo ancora agli inizi di febbraio. Nel
tentativo, perseguito e invocato sia a livello regionale sia a più ampio
raggio internazionale, di mettere un freno alle violenze che fino ad
ora hanno provocato circa mille morti e 500 mila sfollati.
Prima che il cessate il fuoco venisse firmato, la delegazione ribelle
aveva chiesto che le forze ugandesi coinvolte nei combattimenti a
sostegno delle forze governative lasciassero il Paese.
Non facendo l'accordo di giovedì esplicito riferimento alle truppe
dell'Uganda, non è chiaro se la richiesta sia stata accolta oppure no
visto solo il generico riferimento al ritiro, da parte di entrambe le
parti, di tutte le forze, comprese le truppe alleate, dal "teatro delle
operazioni".
Per quanto riguarda l'altra questione spinosa che per giorni e giorni ha
tenuto in pugno il progredire dei negoziati, vale a dire la richiesta
di liberazione degli 11 detenuti politici fedeli a Machar accusati di un
tentativo di colpo di stato a dicembre scorso, l'accordo prevede la
loro partecipazione al processo di pace mentre sarà, come previsto dalla
legge, un tribunale a decidere sulla loro liberazione.
Intanto è di ieri la denuncia del World Food Programme di saccheggi per
3.770 tonnellate di riserve alimentari dai magazzini della città
settentrionale di Malakal, scorte sufficienti a sfamare circa 220 mila
persone per un mese e destinate ai 73.000 civili attualmente nelle basi
delle Nazioni Unite e ai più di 200.000 rifugiati sotto protezione ONU
negli stati dell'Upper Nile e dell'Unity, lì già da prima della recente
crisi che sta sventrando il più giovane stato dello scacchiere
geopolitico internazionale nato nel 2011 in seguito alla secessione dal
Sudan.
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