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27/01/2014

L’altro Olocausto

di Rosa Ana De Santis

Oggi, 27 gennaio, è giorno della memoria. La shoah e la questione ebraica rappresentano certamente il male assoluto da ricordare. Ma non sono meno impressionanti i numeri di un altro Olocausto. Zingari (rom e sinti), omosessuali, disabili, finiti nei campi di sterminio senza nemmeno numeri definitivi che possano dirci quanti siano caduti sotto la mattanza nazista. Oltre 10 mila omossessuali. Molti addirittura i sopravvissuti che furono arrestati nuovamente in Germania perché il paragrafo del codice penale che li voleva condannati rimase in vigore fino a molti anni dopo.

In Italia non vi era una norma specifica contro l’omossessualità, ma questo ha reso ancor più sommerso il fenomeno e le forme odiose di tortura, discriminazione e sterminio. Una nemesi che sembra accompagnare lungo tutto la storia le vicende del nostro Paese.

La Giornata della memoria, se vuole continuare a raccontare qualcosa dell’orrore del Novecento europeo, non può essere soltanto tappa simbolica o narrazione dei martiri sopravvissuti. Deve necessariamente assolvere ad una funzione demiurgica della realtà storica, esserne sentinella. Magari servirebbe anche allo Stato d’Israele nei confronti dei palestinesi?

Parlare dell’Olocausto “minore” è importante ancor più oggi che forme di ghettizzazione, privazione dei diritti, denigrazione persistono se pur acconciate in modo all’apparenza più bonario e meno violento. Persistono con fenomeni di violenza spot, con desistenza a riconoscere specifici diritti, a normare con sistemi di protezione speciale ed emergenziale quelle quote di popolazione che patiscono discriminazioni a vario titolo: la prima non essere nominati dalla legge.

Se non esiste una norma e un diritto viene negato, semplicemente quel fenomeno non esiste, né l’abuso, sia in termini ufficiali e legislativi che nella percezione generale del fatto. Ed è così che un sistema sociale non evolve e non impara ad includere le “differenze”, continuando a gestirle come anomalie se non vere e proprie devianze. Se il passato serve, serve ad andare avanti.

Le iniziative di commemorazione sono tante e inizia Bologna proprio ricordando lo sterminio degli omossessuali, come anche Firenze. Segue Roma con una serie di eventi dedicati alla persecuzione fascista di rom e sinti e con il racconto del nazismo con gli occhi dei sordo–muti: i bambini di allora che osservavano atterriti il massacro delle giornate di occupazione.

Soprattutto in questa fase storica in cui il nostro Paese affronta sfide cruciali come i diritti degli omosessuali, l’integrazione su tutti i fronti e il nodo irrisolto delle comunità nomadi ricordare l’altra Memoria assolve una funzione importante di monito e di giudizio. In certa misura l’antisemitismo attraverso l’inferno della Shoah ha trovato un suo antidoto di ferro nella cultura e nella legge, come mai in passato quando spesso gli ebrei erano vittime di abusi e discriminazioni. Questo tipo di risarcimento commemorativo, omosessuali, zingari e disabili non l’hanno avuto perché meno narrati, più invisibili, meno contati e forse meno sopravvissuti.

L’orrore nazista di eliminare il diverso in ogni forma che si scostasse dal canone comune forse trova più in questo Olocausto che in quello degli ebrei, ancorato moltissimo anche a ragioni economiche e strategico-politiche, la sua affermazione più diabolica e immorale.

Un male che oggi è solo più sottile e infiltrato. Eppure anche quel male nazista, quel meccanismo burocratico di eliminazione a tappeto era, come scriveva Arendt, miseramente banale e per questo invisibile, fino a quando i soldati dell’Armata Rossa sovietica che aprirono i cancelli di Auschwitz resero noto al mondo il genocidio nazifascista, la peggiore tragedia della storia dell’umanità.

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