di Rosa Ana De Santis
Oggi, 27
gennaio, è giorno della memoria. La shoah e la questione ebraica
rappresentano certamente il male assoluto da ricordare. Ma non sono meno
impressionanti i numeri di un altro Olocausto. Zingari (rom e sinti),
omosessuali, disabili, finiti nei campi di sterminio senza nemmeno
numeri definitivi che possano dirci quanti siano caduti sotto la
mattanza nazista. Oltre 10 mila omossessuali. Molti addirittura i
sopravvissuti che furono arrestati nuovamente in Germania perché il
paragrafo del codice penale che li voleva condannati rimase in vigore
fino a molti anni dopo.
In Italia non vi era una norma specifica
contro l’omossessualità, ma questo ha reso ancor più sommerso il
fenomeno e le forme odiose di tortura, discriminazione e sterminio. Una
nemesi che sembra accompagnare lungo tutto la storia le vicende del
nostro Paese.
La Giornata della memoria, se vuole continuare a
raccontare qualcosa dell’orrore del Novecento europeo, non può essere
soltanto tappa simbolica o narrazione dei martiri sopravvissuti. Deve
necessariamente assolvere ad una funzione demiurgica della realtà
storica, esserne sentinella. Magari servirebbe anche allo Stato
d’Israele nei confronti dei palestinesi?
Parlare dell’Olocausto
“minore” è importante ancor più oggi che forme di ghettizzazione,
privazione dei diritti, denigrazione persistono se pur acconciate in
modo all’apparenza più bonario e meno violento. Persistono con fenomeni
di violenza spot, con desistenza a riconoscere specifici diritti, a
normare con sistemi di protezione speciale ed emergenziale quelle quote
di popolazione che patiscono discriminazioni a vario titolo: la prima
non essere nominati dalla legge.
Se non esiste una norma e un
diritto viene negato, semplicemente quel fenomeno non esiste, né
l’abuso, sia in termini ufficiali e legislativi che nella percezione
generale del fatto. Ed è così che un sistema sociale non evolve e non
impara ad includere le “differenze”, continuando a gestirle come
anomalie se non vere e proprie devianze. Se il passato serve, serve ad
andare avanti.
Le iniziative di commemorazione sono tante e
inizia Bologna proprio ricordando lo sterminio degli omossessuali, come
anche Firenze. Segue Roma con una serie di eventi dedicati alla
persecuzione fascista di rom e sinti e con il racconto del nazismo con
gli occhi dei sordo–muti: i bambini di allora che osservavano atterriti
il massacro delle giornate di occupazione.
Soprattutto
in questa fase storica in cui il nostro Paese affronta sfide cruciali
come i diritti degli omosessuali, l’integrazione su tutti i fronti e il
nodo irrisolto delle comunità nomadi ricordare l’altra Memoria assolve
una funzione importante di monito e di giudizio. In certa misura
l’antisemitismo attraverso l’inferno della Shoah ha trovato un suo
antidoto di ferro nella cultura e nella legge, come mai in passato
quando spesso gli ebrei erano vittime di abusi e discriminazioni. Questo
tipo di risarcimento commemorativo, omosessuali, zingari e disabili non
l’hanno avuto perché meno narrati, più invisibili, meno contati e forse
meno sopravvissuti.
L’orrore nazista di eliminare il diverso in
ogni forma che si scostasse dal canone comune forse trova più in questo
Olocausto che in quello degli ebrei, ancorato moltissimo anche a ragioni
economiche e strategico-politiche, la sua affermazione più diabolica e
immorale.
Un male che oggi è solo più sottile e infiltrato.
Eppure anche quel male nazista, quel meccanismo burocratico di
eliminazione a tappeto era, come scriveva Arendt, miseramente banale e
per questo invisibile, fino a quando i soldati dell’Armata Rossa
sovietica che aprirono i cancelli di Auschwitz resero noto al mondo il
genocidio nazifascista, la peggiore tragedia della storia dell’umanità.
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