I padroni lavorano assieme come un branco di lupi attorno al gregge. Scomparsi - o molto diminuiti di numero e forza - i cani pastore del movimento operaio, i padroni colpiscono uniti pur marciando divisi.
Per un trentennio hanno lavorato ai fianchi, erodendo pezzo dopo pezzo le conquiste strappate nel “decennio rosso” degli anni '70. Hanno potuto contare sulla complicità progressivamente più ampia dei sindacati “classici”, poi Marchionne ha aperto il fuoco sul diritto di rappresentanza e di contrattazione, vietando l'agibilità nelle sue fabbriche a tutte quelle sigle – persino la Fiom, ancora parte importante della Cgil – che non obbedivano rapidamente ai sui diktat.
Quel “modello Pomigliano” che doveva “restare un'eccezione unica” - “la Campania è terra difficile”, si sa, “tra camorra e pelandroni” - è ormai diventato “Testo Unico” proposto addirittura da Cgil-Cisl-Uil come fosse una legge.
Ora parte l'attacco finale: direttamente al salario.
Il compito di aprire il varco nella diga se l'è assunto la svedese Electrolux, cui è stata regalata qualche anno fa l'”italianissima” Zanussi. I proprietari, adducendo come motivazione il perdurare della crisi, che ha colpito anche e soprattutto gli elettrodomestici (si è tornati a riparare anche l'irreparabile, pur di risparmiare qualcosa) hanno presentato un piano per “salvare” i quattro stabilimenti italiani a rischio chiusura.
Le condizioni sono di quelle segnano un salto di epoca: secondo i primi calcoli prudenziali (i padroni non parlano mai di “salario netto”, ma sempre di molte voci correlate e reciprocamente dipendenti), fatti nientemeno che dai sindacati “complici, è stato proposto un taglio dei salari che in media porta gli attuali 1400 euro al mese a poco più della metà. 700-800 euro al mese, orario di sei ore al giorno. Come stare in cassa integrazione, ma lavorando.
I padroni ovviamente minimizzano, diramando una nota pelosa: «Di fronte al rimbalzare di numeri ed evidenze che possono fuorviare la serenità del confronto e generare inutili allarmi, Electrolux intende riassumere alcune delle ipotesi di lavoro che oggi sono state proposte ai rappresentanti dei lavoratori. La proposta tutta da discutere del costo dell’ora lavorata prevede una riduzione di 3 euro. In termini di salario netto questo equivale a circa 8% di riduzione ovvero a meno 130 euro mese.
Lo scarto tra i due calcoli sarebbe troppo clamoroso. Senonché bisogna guardare i dettagli: Electrolux parla di “salario orario”, ma è chiaro che se si taglia anche l'orario il crollo dello stipendio mensile assume le dimensioni clamorose del dimezzamento. In più bisogna tener conto che gli stabilimenti sono tutto posizionati tra Veneto, Friuli e Forlì; un territorio dove la frammentazione produttiva e abitativa fa sì che quasi tutti i lavoratori, di qualsiasi azienda, debbono percorrere quotidianamente decine di chilometri. Defalcando quindi anche le spese per carburante e autostrada, dello stipendio resta ben poco...
Nel corso dell’incontro l'azienda ha chiesto inoltre il blocco per un triennio degli incrementi del contratto collettivo nazionale di lavoro e degli scatti di anzianità, naturalmente per “raffreddare l’effetto inflattivo del costo del lavoro, responsabile del continuo accrescere del gap competitivo con i paesi dell’est Europa”.
Non basta. Di primo acchitto l'azienda ipotizzava anche un taglio dell’80% ai 2700 euro di premio aziendali, la riduzione delle ore lavorate a 6, il blocco dei pagamenti delle festività, la riduzione di pause e permessi sindacali (-50%) e lo stop agli scatti di anzianità.
Ma anche questo non sarebbe sufficiente a salvare l'occupazione, nemmeno se resa “semigratuita”. La sopravvivenza degli stabilimenti varrebbe soltanto per tre di essi, ma con ulteriori esuberi per Susegana (331), Forlì (160), Solaro (182). Porcia è invece condannata alla chiusura, a meno di un'accettazione piena della proposta-capestro e alla possibilità – non certezza – che in aprile l'azienda decida di sviluppare e produrre lì il nuovo modello di lavatrice (Pilot One).
Tutto questo massacro salariale, secondo il padrone svedese, potrebbe però produrre una riduzione di “soli” 3-5 euro medi, in un costo del lavoro – comprensivo di tasse e contributi previdenziali – calcolato in 24 euro l'ora.
Il “concorrente” diretto dell'operaio italiano, secondo Electrolux, è infatti il polacco, che si accontenta – come costo del lavoro complessivo – di soli 7 euro l'ora. Se i dipendenti italiani non accettano, la Polonia sarà felice di ospitare anche quest'altra azienda. Concorrenza globale tra lavoratori poveri, il salario tende irreversibilmente verso il punto più basso a parità di altre condizioni (la Polonia confina con la Germania, la rete infrastrutturale è in sviluppo continuo grazie ai capitali tedeschi, non esiste un vero “gap” tecnologico tra la produzione del “bianco” tra i due paesi).
L'obiettivo economico è ridurre il costo di produzione di 30 euro al “pezzo”, ma tutto questo disastro appena descritto ne eliminerebbe soltanto 7,5 (per quanto si dica, infatti, nelle grandi imprese il costo del lavoro è una voce frazionale dei costi complessivi (ferro, alluminio, componenti elettroniche, energia, trasporto, vernici, ecc). Quindi l'azienda si attende clamorose iniziative del governo o degli enti locali per “diradare” la selva dei costi (per quanto in loro potere, a cominciare dalle tariffe elettriche) o concedere robusti “incentivi”.
La prima risposta, quella del ministro dello sviluppo, Flavio Zanonato, è semplicemente agghiacciante e chiarisce bene cosa il governo pensi in materia di salario per tutti i lavoratori di questo paese. «I prodotti italiani nel campo dell’elettrodomestico sono di buona qualità ma risentono dei costi produttivi, soprattutto per quanto riguarda il lavoro, che sono al di sopra di quelli che offrono i nostri concorrenti. E’ necessario dunque ridurre i costi di produzione, in Italia c’è un problema legato all’esigenza di ridurre il costo del lavoro».
Se vogliamo finire tutti sul lastrico a mendicare, basta tenersi governanti con questa testa.
Per chi ancora nutrisse illusioni sul Pd in questioni di lavoro, ecco un tweet illuminante dell'"onorevole" Serra, collega di partito di Zanonato:
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