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21/01/2014

In Iraq si continua a morire


Ieri, sette esplosioni hanno ucciso 26 persone e ferite 67 a Baghdad secondo quanto hanno affermato polizia e fonti mediche. L'attacco più sanguinoso è avvenuto nel distretto di Abu Dsheer (a sud della capitale) dove una autobomba in un affollato mercato ha causato la morte di 7 persone e il ferimento di 18.

Al momento nessun gruppo ha rivendicato l'attentato. Ma secondo molti analisti a essere dietro le esplosioni di ieri ci sarebbe al-Qa'eda che dallo scorso aprile ha ripreso a combattere con una certa continuità il governo di Nuri al-Maliki.

Situazione difficile soprattutto nella provincia di al-Anbar. Qui i militanti di al-Qa'eda hanno preso controllo della città di Falluja e di alcune zone di Ramadi l'1 gennaio sfruttando il risentimento dei sunniti per le politiche settarie del governo al-Maliki. Soldati, poliziotti e forze speciali, aiutati dalle tribù locali governative, stanno assaltando in queste ore alcuni quartieri di Ramadi nel tentativo di riprendere il controllo di aree che al-Qa'eda ha conquistato tre settimane fa.

Alcuni diplomatici hanno esortato Baghdad a promuovere una riconciliazione politica in modo da indebolire il sostegno di cui i godono i qaedisti presso coloro che sono stati colpevolmente emarginati dalle politiche settarie di al-Maliki. Il premier ha però preferito mostrare i muscoli certo che una "operazione di sicurezza" in grande stile potrebbe avere un ritorno politico alle imminenti elezioni.

Ma le violenze, come dimostrano le esplosioni di ieri, non sono circoscritte solo alla regione di al-Anbar. Nelle ore in cui scriviamo, le forze irachene stanno assaltando le milizie qaediste asserragliate in alcune zone occidentali della capitale irachena. Un gruppo legato ad Al-Qa'eda ha invitato i combattenti a "strisciare verso Baghdad". Minaccia concreta per alcuni ufficiali iracheni secondo i quali i miliziani qaedisti hanno abbastanza forza per occupare la capitale.

Le precarie condizioni di sicurezza in cui versano Ramadi e Falluja preoccupano l'Onu che oggi ha parlato di un "aumento esponenziale degli sfollati". Il numero dei rifugiati interni è per ora stimato in più di 22.000 persone.

Un dato provvisorio secondo l'Onu che potrebbe essere più alto. Non tutti coloro che sono stati costretti a lasciare le loro abitazioni, infatti, sono registrati. La maggior parte di loro ha trovato rifugio in altre parti della provincia di al-Anbar. Altri, invece, hanno preferito raggiungere la regione curda nel nord del Paese.

Il Segretario Generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, ha invitato le autorità irachene a fare delle concessioni alla minoranza sunnita delusa ed emarginata. Ma con le elezioni ormai prossime (30 aprile), i politici di Baghdad mostrano scarso interesse a compromessi sbandierando il tema della sicurezza per guadagnare consensi.

Una violenza duplice quella che subisce l'iracheno, soprattutto se sunnita. Laddove non è vittima degli attacchi terroristici, la sua incolumità è minacciata dalla violenza fomentata dallo stato. Nel rapporto annuale presentato oggi, Human Rights Watch ha affermato che gli abusi compiuti dalle forze irachene "comprendono la violenza".

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