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24/01/2014

Il Renzusconi e i compiti del terzo Stato


Il dado è tratto. Ma si tratta solo della seconda volta. In pochi, infatti, ricordano che tra le ragioni fondamentali della caduta del secondo governo Prodi ci fu la scelta dell'allora segretario Pd, Walter Veltroni, di siglare un'intesa sulla riforma elettorale con l'allora capo dell'opposizione, Silvio Berlusconi. Matteo Renzi, oggi, tenta la stessa strada. La ragione, come allora, è sempre la stessa e nel corso della Direzione del Pd che ha approvato con 111 voti a favore e 34 astensione, la proposta concordata da Renzi con Berlusconi sabato pomeriggio, l'ha detta con chiarezza un vecchio sindacalista come Franco Marini: "Non c'è nessuno oggi che, una volta eletto, possa risolvere la crisi economico-sociale italiana, la stessa di cui si nutre il Movimento Cinque Stelle". L'ex segretario della Cisl ha poi fatto il leader politico, il segretario dei Popolari, il candidato, bocciato, alla presidenza della Repubblica ma non ha perso il fiuto per i fatti reali. Il nodo che sottende, la legge elettorale, infatti, resta quello della "governabilità", cioè della stabilizzazione di un sistema istituzionale che fa acqua da tutte le parti.

L'instabilità era profonda già prima delle ultime elezioni ma "lo tsunami" Grillo ha aggravato, dal punto di vista dell'establishment, la situazione. La tripartizione politica ha reso inevitabile il ricorso alle "larghe intese" come cartina al tornasole di una crisi di direzione politica del Paese anche per effetto di un indebolimento strutturale delle classi dirigenti strozzate dalla competizione globale. Non ci sono soluzioni alla crisi all'orizzonte (nemmeno da parte dei Cinque stelle). In una simile condizione, qualsiasi governo sarà debole per molto tempo ancora, condizionato, dall'alto, dalle politiche europee e, dal basso, dalla volubilità elettorale. Renzi cerca di mettere un freno a quest'ultima per poi cercare di contrattare maggiori margini con la Ue. Ma è proprio la volubilità elettorale che va messa in riga, a partire dall'inaspettato successo di Grillo.

Il segretario Pd, quindi, come Veltroni prima di lui e come anche Massimo D'Alema al tempo della Bicamerale, si fa interprete di una necessità "riformatrice" che in ultima analisi rappresenta una restaurazione. Il segno di fondo della proposta elettorale ne restituisce il senso.
Gli assi sono due: un premio di maggioranza rilevantissimo, del 18-20%, che si ottiene al raggiungimento della soglia del 35% dei voti, quindi molto bassa; sbarramento mostruoso all'8% per chi non si coalizza - quindi per tutte le ambizioni delle varie sinistre - e al 5% interno alla coalizione. Per cui, anche forze come Sinistra e Libertà non avranno altra scelta che confluire dentro al Pd se vorranno coalizzarsi con questo senza incorrere nella tagliola dello sbarramento. La democrazia resta un optional, la rappresentanza viene blindata, la "governance" resta indisturbata.

Di fronte a tutto questo, la polemica sull'incontro con Berlusconi nella sede del Pd o sulla mancanza delle preferenze nella proposta renziana, appare stucchevole. Silvio Berlusconi è stato incontrato, in pubblico, in privato, in segreto, come si vuole, da tutti i dirigenti del centrosinistra. Hanno fatto accordi con lui in ogni latitudine gli stessi che oggi attaccano Renzi. L'ultima volta, quando si è trattato di scegliere il Presidente della Repubblica, sia quello bocciato, Marini, che quello attuale.
Quanto alle preferenze, rappresentano uno specchietto per le allodole: cosa farsene di fronte alle discriminanti di cui sopra? Il punto è che se il "Renzusconi" sarà approvato, l'anomalia italiana entrerà in una nuova e diversa fase. La rappresentanza sarà definitivamente preclusa a forze politiche parziali e abborracciate ma a quel punto, il salto di qualità istituzionale sarà stato così ampio che la prospettiva per forze di sinistra e anticapitaliste non potrà limitarsi ad accumulare sufficienti consensi per forzare lo sbarramento. La prospettiva, come è evidente già ora, sarà quella di costruire altre priorità, di organizzare quel "terzo Stato" che oggi si tenta di lasciare fuori, per compiere, di nuovo, una rivoluzione democratica e sociale. Con altre forme di rappresentanza democratica, altri assetti istituzionali legati a una prospettiva economica e sociale che destrutturi l'attuale sistema. Un compito immane, certo, ma non eludibile. La fine della "seconda Repubblica" è davvero alle porte.

Per avere un'idea di come sarà composto il parlamento con questo progetto di legge elettorale, guarda la simulazione di youtrend




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