Si fa presto a dire “rinnovamento”. Quando si vanno a mettere le mani sulle (poche) stanze dei bottoni dove si decide qualcosa e si fanno anche profitti i problemi risultano subito meno risolvibili con le “parole” che un politico-attore è abituato a distribuire al pubblico. O ai giornalisti.
La lunga attesa per le nomine ai vertici delle (poche) aziende in cui lo Stato mantiene ancora una partecipazione da “azionista di riferimento” hanno dimostrato che “rinnovare” richiederebbe idee strategiche sul cosa fare di queste aziende, visione di lungo periodo e conoscenza dello stato dell'arte nei diversi comparti produttivi interessati. Altrimenti si finisce – come nel caso di Renzi – nell'apporre qualche volto femminile su una bella “larghissima intesa”.
Prendiamo le quattro aziende principali: Eni, Enel, Finmeccanica, Poste. È noto che il ruolo operativo fondamentale è quello dell'amministratore delegati, responsabile delle scelte e architetto di ogni ristrutturazione, mentre al presidente è riservato un ruolo più “politico”, come è ovvio quando l'”l'azionista” è il governo.
Nei ruoli di amministratore delegato, in tre casi su quattro, sono stati “candidati” – formalmente la nomina verrà decisa dai singoli consigli di amministrazione aziendali – manager di provata esperienza provenienti dall'interno dell'azienda stessa. Al vertice dell'Eni – la più ricca e profittevole delle aziende “partecipate” – è stato fatto salire Claudio Descalzi, che già si occupava, come direttore generale, del settore “esplorazione e produzione”. Ovvero il cuore operativo del “cane a sei zampe”, che deve trovare giacimenti in paesi lontani e (sempre più) difficili per mentenere a livello di sicurezza l'approvvigionamento energetico del paese. Sulla poltrona di presidente, per compensare la “non novità” Descalzi, è stata messa Emma Marcegaglia, ex prima donna presidente di Confindustria, ma che non sembra aver lasciato troppi ripianti in via dell'Astronomia.
Per di più la sua scelta profuma di conflitto di interessi, visto che il gruppo Marcegalia – di cui è formalmente amministratore delegato, anche se a guidare materialmente l'azienda di famiglia è il fratello – è stato a lungo fornitore della stessa Eni.
Discorso largamente simile per l'Enel, dove Francesco Starace sale dal ruolo di a.d. Di Enel Green Power (la divisione “rinnovabili” del gruppo) a quello di capo operativo della casa madre. Mentre alla presidenza siederà Maria Patrizia Grieco, con una lunga carriera nel settore informatico (Italtel, Siemens, Olivetti).
Ancora più evidente la “svolta di immagine” alle Poste, dove a fare l'a.d. È stato chiamato Francesco Caio, esperto di reti al punto da meritarsi il nick di “mr. Agenda Digitale”, con una carriera in Omnitel e un passaggio in Avio (su indicazione di Enrico Letta). A fare la presidente-immagine sarà Luisa Todini – ex deputata berlusconiana nota soprattutto per le apparizioni a Ballarò – che ha ricevuto questo cadeau al posto della presidenza dell'Enel, cui non poteva proprio accedere visto che la sua azienda ora è confluita in Salini Impregilo, che per il colosso elettrico costruisce un po' di tutto.
L'eccezione che conferma la regola del rinnovamento solo formale arriva con Finmeccanica. Azienda destinata a restare attiva più nel ramo militare che nel civile (la dismissione di Ansaldo è stata decisa ormai da anni), e che pertanto mantiene come presidente “politico” quel Gianni De Gennaro passato indenne – da capo della polizia – attraverso la mattanza di Genova 2001 e le torture di Bolzaneto, poi ai vertici dei servizi segreti e quindi sottosegretario con delega ai servizi stessi sotto la premiership di Monti.
A fare l'a.d. – per “cambiare” – è stato scelto Mauro Moretti, fino ad oggi sull'identica poltrona nelle Ferrovie delo Stato, chiamato il “risanatore” per aver riprotato in utile l'azienda grazie a un taglio del personale di proporzioni epocali (oltre il 50%, negli anni), alla soppressione delle line “non redditizie” (pendolari, collegamenti col mezzogiorno, treni letto, notturni, ecc). E infine anche tra gli imputati per la strage alla stazione di Viareggio, il 29 giugno 2009, dove persero la vita 32 persone nell'esplosione di un carro merci carico di gas gpl.
Non vi annoieremo con le altre 21 nomine minori (solo per Terna non sono stati ancora ufficializzati i candidati). Ma la chiave interpretativa ci sembra abbastanza chiara:
- non ci sono “nuove generazioni di manager” italiani in grado di prendere in mano aziende strategiche;
- i posti vengono ripartiti con rose ristrettissime di nomi e con un “Cencelli” che ha spostato solo pochi pezzi (qualche d'alemiano e qualche berlusconiano in meno, qualche democristiano in più);
- un uso spregiudicato dell'immagine femminile a coprire tutto quel che non si riesce a “rinnovare”.
Fonte
Viene da vomitare, e si possono facilmente prevedere tempi bui per i dipendenti delle aziende di uno Stato senza un briciolo di piano industriale serio s'intendo.
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