Non si fermano le retate inaugurate alla fine dello scorso anno dall’ex premier Erdogan che in pochi mesi hanno portato all’arresto di un centinaio di poliziotti e di funzionari che indagavano sul leader del partito Giustizia e Sviluppo e sul suo entourage. L’ultima ondata di arresti risale a ieri, quando 25 tra funzionari e dirigenti della polizia turca sono stati arrestati perché accusati di realizzare attività di spionaggio, tra le quali intercettazioni definite illegali di conversazioni telefoniche tra Erdogan e suo figlio Bilal durante le quali si parlava di come nascondere fondi neri ottenuti tramite attività economiche illegali a rischio a causa di un’inchiesta. Un procedimento penale lanciato a dicembre da alcuni magistrati – alcuni dei quali poi rimossi – e che portò all’arresto e al coinvolgimento di decine di imprenditori, esponenti del partito di governo e funzionari statali, compresi quattro ministri e i figli di tre ministri.
Fin da subito il ‘sultano’ accusò il suo ex padrino politico, il predicatore/imprenditore Fetullah Gulen, di essere a capo di un complotto e di una sorta di ‘stato parallelo’ infiltrato nella polizia e nella magistratura allo scopo di rovesciare il governo e impossessarsi del potere attraverso la via giudiziaria e la manipolazione dell’opinione pubblica. Da quel momento Erdogan ha lanciato un’imponente campagna stampa mirante a denunciare quella che ha sempre descritto come la fabbricazione di documenti e prove false – intercettazioni telefoniche, foto ecc. – diffuse allo scopo di denigrarlo e causarne le dimissioni. Inoltre, la cupola del partito liberal-islamista ha rimosso e destituito migliaia tra poliziotti, funzionari, procuratori e magistrati nel tentativo di decapitare gli ambienti vicini o controllati da Gulen e dalla sua congregazione, Hizmet, e di bloccare le inchieste partite contro di lui e contro il suo entourage politico ed economico. Contemporaneamente ha anche fatto varare una legge che mette l’equivalente turco del Consiglio Superiore della Magistratura sotto il controllo diretto dell’esecutivo e ha inasprito la censura su internet e sulla stampa nel tentativo di impedire la diffusione delle notizie sui suoi intrallazzi con imprenditori turchi e stranieri. Imprenditori che negli ultimi anni, in cambio di sostegno politico ed economico, hanno usufruito di un gran numero di appalti grazie all’enorme numero di grandi opere decise in tutto il paese dal governo liberal-islamista, alcune delle quali sono state bersaglio delle proteste popolari che nell’ultimo anno hanno incendiato la Turchia, represse ferocemente dalle forze dell’ordine.
Dopo la recente doppia vittoria elettorale per Erdogan e per l’Akp – prima alle amministrative e poi alle presidenziali del 10 agosto vinte dall’ex premier al primo turno con il 51,8% dei voti – le inchieste contro il governo sono di fatto tutte insabbiate e il potere del ‘sultano’ sembra per ora incontrastato. Adesso l’uomo forte di Ankara sta lavorando ad una riforma costituzionale che trasformi la Turchia in una repubblica presidenziale, accrescendo ulteriormente il proprio controllo sul paese.
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