28/08/2014
La Libia cancellata per tenere a freno l’ intera Africa
Dalla Libia esplosa partono persone come schegge. Migliaia di jihadisti a ingrossare le formazioni radicali in Sinai, Mali, Repubblica Centrafricana, Siria, Iraq, Libano. Profughi subsahariani eritrei, etiopi, somali e sfollati siriani, iracheni, palestinesi sui ‘barconi-speranza’ verso l’Italia.
C’era una volta
È la cinica Banca Mondiale a dirci che la Libia, solo 4 anni fa, manteneva “alti livelli di crescita economica” con aumento medio del PIL del 7,5% annuo e registrava “alti indicatori di sviluppo umano”.
Accesso universale all’istruzione primaria e secondaria e, per il 46%, a quella del livello universitario.
Tenore di vita notevolmente più alto rispetto agli altri Paesi africani nonostante le disparità fra ricchi e poveri.
Dalle statistiche ai fatti.
In Libia trovavano lavoro circa 2 milioni di immigrati provenienti perlopiù dalla fascia sahelo-subsahariana e dal Corno d‘Africa, rendendo lo Stato un fattore di stabilità e sviluppo in Nord Africa.
L’autonomia finanziaria dell’Africa
La Libia con i suoi investimenti aveva favorito la nascita di organismi che avrebbe reso possibile l’autonomia finanziaria dell’Africa.
In Africa, la “Libyan Arab African Investment Company” dei 27 Paesi della “Comunità Economica per lo Sviluppo della Comunità sahelo-africana” la cui segreteria è a Tripoli, aveva investito nei settori manifatturiero, minerario, turistico, agricolo e delle telecomunicazioni.
La Libia aveva finanziato le opere per la realizzazione di tre Istituti economici dell’Unione Africana: “Banca Popolare di Investimento”, con sede a Tripoli, “Fondo Monetario Africano” con sede a Yaoundé (Camerun), “Banca Centrale Africana” con sede ad Abuja.
Lo sviluppo di questi tre organismi avrebbe consentito all’Africa di sottrarsi al controllo di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, con la liberazione dal Franco-CFA (Comunità Finanziaria dell’Africa), la moneta che sono obbligati a usare i 14 Paesi già colonie francesi.
Coincidenze sospette
La catastrofe attuale era evitabile?
Dal recente libro “Eclipse sur l’Afrique” di Jean Ping, ex Ministro degli esteri del Gabon ed ex Presidente della Commissione dell’Unione Africana dal 2008 al 2013 scopriamo dettagli interessanti.
Il 10 marzo 2011, l’UA approva una ‘road map’ per fare uscire la Libia dalla crisi interna che aveva fatto esplodere le piazze.
Tre soli punti: cessazione immediata delle ostilità, esclusione della permanenza di Gheddafi, adozione di un sistema democratico.
Il 19 marzo, in Mauritania, mentre il Comitato dei Capi di Stato cerca di convincere le parti in conflitto ad una soluzione politica, arriva una telefonata del Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki Moon.
Parigi invita il Comitato dei Capi di Stato africani a non recarsi il giorno seguente in Libia perché proprio quel giorno inizieranno le operazioni militari della NATO.
Cosa era successo in Libia?
Strane cose in quelle piazze sin dai primi giorni di manifestazioni. Rabbia legittima di casa e attori esterni sostenuti dalla campagna mediatica delle emittenti arabe “Al Jazeera” e “Al Arabiya”.
Gruppi di laici e di islamici di provenienza eterogenea che agiscono sotto il nome di “Consiglio Nazionale di transizione” subito riconosciuto dalla Francia come “rappresentante del popolo libico” attribuendogli uno status politico.
Idem per l’improvvisata “Coalizione occidentale” nata sotto l’ombrello NATO-USA.
Il 26 febbraio, a soli 9 giorni dall’inizio di manifestazioni a Bengasi, il Consiglio di Sicurezza ONU approva la Risoluzione 1970.
Sanzioni alla Libia, deferimento dalla Corte Penale Internazionale del leader libico ed esponenti del regime e divieto di intervento sull’area di Bengasi, già circondata dall’Esercito governativo.
Un’altra Risoluzione due settimane dopo dichiara la ‘no fly zone’ nello spazio aereo libico, e toglie l’aviazione a Gheddafi.
Ancora ‘bombardamenti umanitari’
Francia e Gran Bretagna iniziano i bombardamenti “umanitari” la sera stessa.
Ma l’Unione africana non demorde e il 10 aprile il Comitato dei Capi di Stato vola a Tripoli e incontra Gheddafi.
Il giorno successivo, a Bengasi, la delegazione viene circondata in aeroporto e insultata fino all’arrivo nell’hotel per i colloqui con il Presidente del “Consiglio Nazionale di transizione” Mustafà Abdel Jalil, svolto fra le urla dei manifestanti.
Gheddafi accetta la proposta dell’Unione africana che prevede anche il suo esilio.
Ma l’improvvisato Presidente del nuovo soggetto politico inventato a Parigi, il CNT, risponde no.
L’apocalisse organizzata
In meno di 8 mesi, l’aviazione NATO effettua 9700 missioni di attacco con oltre 40 mila bombe e missili, 5900 obiettivi militari distrutti. In Libia vengono infiltrate Forze Speciali di USA, U.K., Francia, Qatar e finanziate milizie islamiche e non.
Il 20 ottobre 2011, il giorno dopo la visita del Segretario di Stato USA a Tripoli, l’aviazione francese intercetta il convoglio di Gheddafi e lo bombarda.
Ferito, Gheddafi tenta di allontanarsi a piedi e, scoperto da un gruppo di insorti, viene seviziato e ucciso.
Pochi giorni dopo, il Presidente USA definisce l’assassinio di Gheddafi “morte che manda un forte messaggio a tutti i dittatori del mondo”.
I pochissimi analisti dissonanti sulle versioni main stream degli eventi vengono semplicemente ignorati o criticati.
Gli interrogativi del ‘dopo’
Una “guerra umanitaria” per inserirsi nelle sollevazioni in corso sin dall’ottobre 2010 ed evitarne l’espansione verso i Paesi dell’area alleati dell’Occidente?
Molto probabile, ma a quale prezzo?
Non deve quindi sorprendere se Ansar al Sharia che ieri ha combattuto Gheddafi, l’11 settembre 2012 assalta l’Ambasciata USA di Bengasi uccidendone l’Ambasciatore e 4 funzionari con stesse le armi Usa ricevute a Misurata.
Oppure scoprire che in Mali, nella Repubblica Centro Africana, nella fascia sahelo-subsahariana, in Siria e in Iraq, fra i jiadisti più feroci troviamo molti libici che portano le armi sottratte da caserme e depositi di Gheddafi.
Al Qaeda e i gruppi di uguale matrice non sono stati armati anche dagli USA durante la guerra del 1980-1988 nell’Afghanistan invaso dai sovietici?
Certo, possono anche essere considerati solo ‘danni collaterali’.
Fonte
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