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28/08/2014

Iraq - Bombe Usa contro l’assedio dei turkmeni

di Chiara Cruciati – Il Manifesto 

Dopo le operazioni di salvataggio messe in campo da Stati Uniti e peshmerga per salvare yazidi e cristiani, ora le bombe Usa potrebbero piovere in Iraq per portare in salvo gli sciiti turkmeni, la più ampia minoranza irachena – il 9% della popolazione, divisi tra Baghdad, Mosul, Irbil e Tal Afar. Da giorni è in atto una sanguinosa battaglia tra esercito governativo iracheno e miliziani jihadisti per il controllo della città turkmena di Amerli, vicina al Kurdistan iracheno e assediata dal gruppo di al-Baghdadi da oltre due mesi.

La popolazione in trappola, 12-15mila residenti, è allo stremo: mancano ormai cibo e acqua, non c’è più elettricità e i miliziani minacciano di morte tutti quelli che rifiutano di convertirsi alla personale religione dell’Isis. Decine di migliaia di turkmeni, prima residenti nelle città oggi occupate, sono stati costretti alla fuga verso il territorio kurdo, accanto a cristiani, sunniti e yazidi. La controffensiva guidata dal governo iracheno potrebbe essere sostenuta dai raid statunitensi: il presidente Obama sta valutando la possibilità di ordinare bombardamenti a sostegno dell’esercito di Baghdad e aiuti dal cielo per la popolazione civile, fanno sapere fonti vicine alla Casa Bianca.

Ai militari governativi, radunatisi a sud della città turkmena, si aggiungono le milizie sciite: migliaia di combattenti dell’organizzazione Badr e del gruppo Asaib Ahl al-Haq si sono ritrovati ieri nell’area di Tuz Khumartu, nella provincia di Salah-a-din, a nord di Amerli. Pronti a dare battaglia per rompere l’assedio jihadista. Martedì l’aviazione di Baghdad aveva già sganciato bombe intorno alla comunità contro le postazioni Isis e nelle settimane passate aveva lanciato beni di prima necessità e cibo.

Washington è chiamato a decidere a breve sia sui raid ad Amerli che sulla possibilità di un intervento in Siria. Dall’altra parte del confine, la situazione è ben più intricata che in Iraq e il timore di finire nella “trappola” di Assad per ora lega le mani ad Obama. Che per questo valuta l’opzione internazionale: una coalizione di volenterosi che partecipi all’azione militare contro l’Isis in Siria, dove da due giorni la Casa Bianca ha avviato voli di ricognizione per individuare le postazioni dei jihadisti. L’intenzione resta quella di evitare un coordinamento con il regime di Damasco – come chiesto dal ministro degli Esteri siriano, Muallem – che darebbe al nemico Assad una legittimazione internazionale inaccettabile per gli Stati Uniti.

A fare pressioni sono anche le Nazioni Unite: ieri la Commissione indipendente di inchiesta sulla Siria ha pubblicato un rapporto di 45 pagine nel quale accusa i miliziani dell’Isis di terribili atrocità: esecuzioni, flagellazioni, amputazioni e crocifissioni nelle zone siriane occupate. «Nelle aree sotto il controllo dell’Isil, soprattutto a nord e est – si legge nella relazione – il venerdì è diventato il giorno delle esecuzioni e delle flagellazioni nella pubblica piazza», a cui i miliziani impongono a tutta la comunità, bambini compresi, di assistere.

Nel mirino delle Nazioni Unite è tornato anche lo stesso presidente Assad, accusato come l’Isis di crimini di guerra: torture, morti sospette nei centri di detenzione, arresti di massa, uso di gas tossici. E mentre sul piano politico Assad rimpasta il governo dopo le elezioni di giugno e nomina premier Wael al-Halaqi, ex primo ministro nel 2012, sul campo la guerra civile continua. Ieri un capovolgimento di fronte ha avuto come teatro il sud della Siria, al confine israeliano. Gruppi di opposizione hanno preso l’unico valico di frontiera con le Alture del Golan Siriano (occupate da Tel Aviv nel 1967) dopo violentissimi scontri con le forze militari governative. A strappare di mano il valico di Quneitra ad Assad sono stati gli uomini del Fronte al-Nusra e di altre fazioni islamiste, già impegnate in dure battaglie con il regime per il controllo delle vicine città di Jaba, Rawadi e Tal Kroum, nella provincia meridionale di Quneitra.

Durante i combattimenti, in cui hanno perso la vita 20 soldati siriani e un numero imprecisato di ribelli, due colpi di mortaio hanno colpito il territorio israeliano, ferendo un generale dell’esercito di Tel Aviv. La caduta di Quneitra è una significativa sconfitta per Damasco: il solo checkpoint a sud verso Israele ha grande valore simbolico e permetterebbe alle opposizioni islamiste di affacciarsi su Israele.

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