Quasi 100 anni fa, il Kurdistan è stato trasformato in una colonia internazionale dalle potenze coloniali dell’epoca, Francia e Inghilterra. Fin dall’accordo Sykes-Picot (1916) e poi il Trattato di Losanna (1923), che separava il popolo curdo sotto il dominio di quattro stati (Turchia, Iran, Iraq, Siria), il popolo kurdo è stato in guerra, in una forma o nell’altra. In migliaia si sono ribellati, hanno resistito, sono stati massacrati, impiccati, esiliati, assimilati e torturati. In breve, ai curdi non è stata data la possibilità di autodeterminarsi e non sono stati riconosciuti dal mondo come società o nazione distinta. Ciò in cui essi, e gli stati che hanno cercato di ridurli in schiavitù, sono stati catturati è la “Trappola curda”, istituita dai poteri dominanti del mondo.
Non voglio parlare di tutte le ribellioni curde o massacri perché vi sfinirei.
Di seguito verrà data un’idea della tragedia curda dei tempi moderni: in Turchia (Kurdistan settentrionale) ci fu il massacro di Zilan (1921), il massacro di Sheikh Said (1925), il genocidio di Dersim (1938), il massacro di Maras (1978), e la ribellione del PKK (dal 1978) contro questi eventi. In totale, questi massacri hanno mietuto più di 300.000 vite.
In Iran (Kurdistan orientale), le ribellioni di Simko (1918 e 1926), di Qazi Muhammad e la breve durata della Repubblica curda di Mahabad (1946), e la rivolta del KDP-I del 1979, si sono concluse con la morte di almeno 50.000 persone e con lo sfollamento di massa.
In Iraq (Kurdistan meridionale) ci fu la ribellione di Barzani (1961-1970) e la rivolta del 1983 che si concluse con la campagna genocida “Al Anfal” (1986-1989), che costarono la vita a oltre 190.000 curdi.
In Siria (Kurdistan occidentale), centinaia di migliaia di curdi non sono stati riconosciuti dal governo come cittadini e, pertanto, non ebbero alcun diritto dal 1962 in poi. Il “cordone arabo” del 1965 sfollò coercitivamente centinaia di migliaia di curdi e insediò arabi nelle loro case, per “arabizzare” le terre curde. Dal 2004 vi è stata un’escalation costante di massacri curdi, che ha raggiunto l’apice con la guerra siriana e continua oggi nel nord della Siria (Kurdistan occidentale) mentre i curdi, ancora uccisi a centinaia, resistono contro lo Stato islamico (IS).
Perché il Kurdistan è importante
Ora i curdi affrontano un’altra alba, combattendo i terroristi internazionali nella forma dello Stato Islamico (IS). Ma perché il Kurdistan è così prezioso per le potenze regionali e internazionali, e perché la terza guerra mondiale sta avendo luogo sul suolo curdo?
Petrolio, acqua, sali minerali e importanza geostrategica sono tutti fattori rilevanti, ma in modo più significativo il Kurdistan e la regione circostante detengono gli indizi per le domande senza risposta sulla nostra civiltà.
E’ dal Kurdistan, la Mezzaluna Fertile e la Mesopotamia, che la maggior parte, se non tutte le rivoluzioni sociali, si sono sparse per il resto del mondo. Il primo problema sociale della disuguaglianza di genere e poi la disuguaglianza di classe, sono pure sorti qui.
In realtà il Kurdistan, con il suo patrimonio etnico, religioso, ideologico, culturale e storico, è l’ingranaggio centrale e quindi microcosmo di tutto il Medio Oriente. In breve, chi controlla il Kurdistan controlla la regione. Questo è il motivo per cui il Kurdistan non è mai stato lasciato al dominio di una potenza e perché tutte le potenze coinvolte hanno cercato di mantenere il controllo. Da qui il motivo per cui la “trappola curda” è stata utilizzata da potenze internazionali per più di cento anni, al fine di indebolire, dividere e rendere dipendenti i curdi e i loro vicini.
Recente prova di questo è stata l’intervista di Barack Obama con il New York Times; in poche parole, egli dice al KRG e al governo iracheno: se non eseguirete le politiche degli Stati Uniti, porteremo avanti solo azioni limitate contro l’IS. Il presidente degli Stati Uniti continua a dire che il KRG deve la sua democrazia e la stabilità al sacrificio fatto dai soldati americani. Il significato sottinteso è: i curdi ce lo devono. Ciò che Obama omette è che i curdi del Kurdistan meridionale (Nord Iraq) costituiscono solo il 20% circa dei curdi e che i curdi che vivono sotto il dominio di Turchia, Iran e Siria non hanno ricevuto alcun sostegno da parte degli Stati Uniti, ma al contrario sono stati colonizzati dagli stati da loro sostenuti e dalle potenze occidentali.
L’inserimento del PKK nell’elenco delle organizzazioni terroristiche, da parte degli Stati Uniti e dell’Unione europea, ne è un esempio tipico, e il completo disinteresse verso la resistenza delle YPG contro l’IS e gli altri elementi regressivi in Siria è un altro. E ‘anche ironico che queste sono le due forze che hanno combattuto contro l’IS per aprire un corridoio sicuro per i rifugiati di Sinjar, salvando ad oggi oltre 50.000 vite.
La resistenza curda contro l’IS
L’IS è stato, senza dubbio, sostenuto dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, quando faceva parte dell’Esercito Siriano Libero, e si è formato nel vuoto creato dall’intervento imperialista. Esso continua ad essere sostenuto da Turchia, Arabia Saudita e Qatar, tutti alleati occidentali. Ma questo non significa che l’IS non abbia la propria agenda. Precedentemente noto come lo Stato islamico dell’Iraq e della Siria, l’IS ha una storia di lotta di almeno dieci anni, che inizia con l’invasione americana dell’Iraq. Le sue radici ideologiche e politiche si trovano nell’interpretazione salafita dell’Islam, che è diventato sempre più politicizzato con la primavera araba, attirando giovani sunniti alienati e insoddisfatti. Inoltre lo Stato Islamico ha un desiderio genuino di diffondere l’Islam com’è stato vissuto, secondo loro, al tempo del Profeta Maometto. Evidentemente, la loro è una lettura del Corano e della Sunnah letterale e distorta e non rappresenta la maggioranza dei musulmani in tutto il mondo. Ma questo tradizionalismo anacronistico è anche il motivo per cui pochissime organizzazioni musulmane hanno preso una posizione aperta contro l’IS e i loro massacri nella regione, e per cui l’IS è stato in grado di strisciare fuori da sotto l’ombra di Al Qaeda e Al-Nusra fino ad attirare alla sua jihad migliaia di giovani uomini, e alcune donne, provenienti da tutto il mondo.
Per oltre due anni c’è stata una resistenza silenziosa al saccheggio dello Stato Islamico nel Kurdistan occidentale (Siria settentrionale), o come ai curdi piace chiamarlo, Rojava. Le Unità di Difesa del Popolo (YPG) sono state coinvolte in una vittoriosa guerriglia, prima contro il fronte Al-Nusra e poi, dopo la loro separazione da questo gruppo, lo Stato Islamico. Le YPG non sono formate solo da curdi e hanno unità composte da arabi, turcomanni, armeni e assiri, in pratica qualsiasi gruppo che vive nel Rojava. Il silenzio della comunità internazionale su questa resistenza è comprensibile, perché non rientra nella loro grandiosa narrazione del Kurdistan e del Medio Oriente. In realtà c’è una rivoluzione in corso in Rojava, dove sono stati dichiarati tre cantoni autonomi, amministrati dalle assemblee dei popoli, dove il comunitarismo è praticato ovunque possibile, dove la rappresentanza femminile è del 60%, e dove tutte le diverse etnie e fedi trovano rappresentanza in una società democratica laica.
Il Partito dell’Unione Democratica (PYD) è la forza trainante di questa rivoluzione, ma ci sono anche altri partiti politici che partecipano all’amministrazione. La visione ideologica e paradigmatica di questo sistema, che la gente chiama “Autonomia democratica”, è stata formulata da Abdullah Ocalan, il leader curdo in carcere dal 1999 in un’isola-prigione in Turchia. Ocalan chiama questa visione “il paradigma democratico, ecologico e dell’emancipazione di genere”, e sembra dare i suoi primi frutti in Rojava.
E’ questo sistema e la società che sta creando, che rappresentano un grande pericolo per lo status quo in Medio Oriente. I dittatori locali, i regimi repressivi e i loro cospiratori internazionali temono la democrazia radicale che si sta sviluppando in Kurdistan e diffondendo in Medio Oriente. Questa è la ragione per cui l’IS ha attaccato il Rojava senza mollare per due anni ed è anche il motivo per cui è sempre stato sconfitto. Il sistema nel Rojava ha unito le persone indipendentemente dalle differenze e dato loro la speranza di una nuova vita.
L’incursione dell’IS in Iraq e l’assedio comico di Mosul dove è stato rinvigorito con nuove armi e tecnologia militare, era solo propedeutico a preparare un nuovo attacco nel Rojava nel secondo anniversario della rivoluzione del luglio 2014. Il suo attacco a Sinjar e nella regione confinante il Rojava è stato condotto anche per evitare che la rivoluzione si diffondesse ad altre parti del Kurdistan. Tuttavia l’IS sta perdendo la battaglia e i suoi attacchi stanno solo rafforzando l’unità tra curdi. Il popolo curdo sta cominciando a vedere chi è amico e chi no, dal momento che il PKK, le YPG e alcune forze peshmerga si sono unite per difendere la loro gente.
Ora, secondo i report, il califfo dell’IS Abu Bakr al-Baghdadi ha chiesto un cessate il fuoco con i curdi, dopo due settimane di massacro nel Kurdistan meridionale. Che cosa lo ha indotto a farlo? E’ stato il clamore internazionale, il bombardamento degli Stati Uniti o la nomina di un nuovo Primo Ministro iracheno, che sta presumibilmente riportando le tribù sunnite in carreggiata e fermando il loro sostegno per l’IS? O il loro compito di ripulire l’area da yazidi, cristiani, caldei, kakais e altri gruppi etnici e religiosi nel Kurdistan meridionale, è stato portato a termine?
Anche se non nello stesso modo, la storia sembra ripetersi in queste situazioni; il caos è stato creato, milioni di persone sono state massacrate e sfollate, le mappe sono ridisegnate secondo il capitale finanziario e, infine, un gruppo selezionato consolida il proprio potere e guadagno. L’unica speranza che la storia non si ripeta giace nel sistema del Rojava e nel rifiuto della mentalità dello stato-nazione, dei dogmi religiosi e del patriarcato.
La politica della carota e del bastone
Una delle questioni su cui spesso ci si interroga è: i curdi vogliono un intervento militare da parte delle potenze occidentali?
La risposta è un sonoro ‘No’. Perché una ragione di questa disastrosa situazione è l’intervento militare da parte delle potenze occidentali in Iraq e Siria e negli altri paesi della regione. Tuttavia possiamo vedere che è stata avviata una campagna attiva, volta a far sembrare che i curdi vogliano che Regno Unito e Stati Uniti inviino truppe in Kurdistan. Non è questo il caso. Ciò che questi poteri possono fare è utilizzare i loro rapporti diplomatici per fermare il sostegno all’IS. Impedire ai militanti IS di attraversare il confine Turchia-Siria, agli jihadisti internazionali di recarsi nella regione e colpire la loro economia, contribuirebbe a indebolirli. Inoltre, gli Stati Uniti e l’UE devono immediatamente togliere il PKK dalla lista delle organizzazioni terroristiche e impegnarsi con tutte le parti curde a risolvere la questione del Kurdistan e il caos in Medio Oriente in modo giusto e democratico.
Tuttavia, se le potenze internazionali pensano di poter ricolonizzare il Kurdistan, fornendo sostegno e poi chiedendo fedeltà o obbedienza, avranno penosamente sbagliato. I curdi non devono niente a nessuno e l’insistenza sul mantenimento della “trappola curda” non è un’opzione.
Se i partiti curdi riescono a unirsi, sviluppare una cultura democratica interna e rimanere fedeli al ricco patrimonio del Kurdistan con tutte le sue diverse etnie, religioni e culture, allora i curdi e il Kurdistan possono essere un faro di speranza per lo sviluppo di una modernità democratica nel cuore del Medio Oriente. Altrimenti, gli imperialisti internazionali e i loro alleati regionali continueranno ad attuare la politica del bastone e della carota sui popoli del Medio Oriente, dividendo, indebolendo e sfruttando ulteriormente loro e le ricchezze in cui vivono per almeno i prossimi 100 anni.
Da Retekurdistan
Traduzione di Marta Saba
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