I dati dell'Istat sono sempre una miniera di informazioni importanti. Come sempre, però, bisogna saperli leggere e tenere insieme, evitando la tentazione – tanto cara ai giornali di regime – di mettere in evidenza soltanto quelli che tornano utili a chi scrive “il pezzo” o il tweet.
Oggi l'Istat ha diffuso due rapporti su occupazione e disoccupazione, distinti dal raggio di indagine: mensile e trimestrale.
Partiamo dal rapporto mensile e da una constatazione oggettiva forte: nel luglio 2014 gli occupati erano 22 milioni 360 mila, in diminuzione dello 0,2% rispetto al mese precedente (-35 mila) e dello 0,3% su base annua (-71 mila). Tradotto: l'occupazione assoluta diminuisce al ritmo di 1.000 posti di lavoro in meno al giorno e nessuno può dire il contrario. Vedremo perché questa premessa è importante.
Il tasso di occupazione, di conseguenza, è pari al 55,6%, in diminuzione di 0,1 punti percentuali sia in termini congiunturali sia rispetto a dodici mesi prima.
Il numero di disoccupati, altrettanto di conseguenza, è pari a 3 milioni 220 mila, in aumento del 2,2% rispetto al mese precedente (+69 mila) e del 4,6% su base annua (+143 mila).
Il tasso di disoccupazione pertanto sale al 12,6%, in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 0,5 punti nei dodici mesi.
Ma i lanci di agenzia si sono concentrati soltanto sulla “diminuzione della disoccupazione giovanile”, in modo da creare un collegamento mentale – fasullo – tra dati e “positiva azione del governo”.
I disoccupati tra i 15 e i 24 anni – quelli registrati dai Centri per l'impiego – sono infatti 705 mila. L'incidenza dei disoccupati di 15-24 anni sulla popolazione in questa fascia di età è pari all'11,8%, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 1,1 punti su base annua. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è però pari al 42,9%, in (paradossale) diminuzione di 0,8 punti percentuali rispetto al mese precedente, ma in aumento di 2,9 punti nel confronto tendenziale.
Dal punto di vista della “continuità” contrattuale, però, non si arresta la flessione degli occupati a tempo pieno (-0,5%, pari a -89.000 unità rispetto al secondo trimestre 2013), che in quasi due terzi dei casi riguarda i dipendenti a tempo indeterminato (-0,5%, pari a -57.000 unità). Gli occupati a tempo parziale continuano invece ad aumentare (+1,9%, pari a 75.000 unità), ma la crescita riguarda esclusivamente il part time involontario (ovvero quello imposto dall'azienda) che riguarda il 64,7% dei lavoratori a tempo parziale.
Stesso discorso per quanto riguarda gli occupati “a termine”, che riprendono ad aumentare (+3,8%, pari a 86.000 unità nel raffronto tendenziale) a cui si accompagna per il settimo trimestre la diminuzione dei collaboratori (-8,3%, pari a -36.000 unità). Insomma: quel poco di lavoro che viene creato è precario, part time o a termine, mentre l'occupazione “buona” (a tempo pieno e indeterminato) diminuisce velocemente.
In prospettiva “jobs act”, questa condizione non può che peggiorare, ripercuotendosi (dal punto di vista sociale) in un impoverimento generale della forza lavoro e (dal punto di vista economico) in una ulteriore contrazione dei consumi.
Il rapporto completo dell'Istat (mesile).
Il rapporto completo dell'Istat (trimestrale).
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