31/08/2014
I mujhaeddin jihadisti in Europa e in Italia eredità di Bosnia
‘La rete di Ismar l’imbianchino gettata tra Padova, Treviso e Pordenone, esagera qualche cronista. Parte dal Nord Est, dalla fuga verso la Siria del bosniaco Ismar Mesinovic, e l’inchiesta sui presunti reclutatori per la jihad tra i seimila bosniaci veneti. La storia dei mujhaeddin in Bosnia.
Ismar Mesinovic, bosniaco di Doboj, da anni stimato imbianchino in Italia. A far scattare l’allarme antiterrorismo la morte nel gennaio scorso in Siria proprio di Ismar Mesinovic, per anni residente a Ponte delle Alpi in provincia di Belluno e poi a Longarone dove ha lasciato una moglie di origine cubana a cui aveva sottratto il loro figlio di due anni che l’uomo sarebbe riuscito a portare con se in Siria. Su giornali stranieri e in rete le immagini di Ismar a terra morto, ucciso mentre combatteva contro il governo di Assad. Da allora il tentativo di ricostruire la rete dei contatti tra la comunità bosniaca musulmana e integralista del Nord-Est e il Medio Oriente, per scoprire eventuali canali di reclutamento e finanziamento e quella specie di agenzia di viaggio con biglietti solo andata dal Veneto alla Siria. Riproponiamo una ricostruzione storica dell’arrivo dei primi mujhaeddin in Europa nella guerra bosniaca e i suoi effetti ancora in corso.
All’inizio degli scontri e dell’assedio di Sarajevo, inverno 1992-93, arrivarono nella Bosnia centrale i primi volontari islamici stranieri. Musulmani dall’Arabia Saudita e da altri Paesi del Golfo Persico, dal Pakistan, dall’Afghanistan. E uno sparuto gruppo dall’Europa occidentale o dal nord America. All’inizio combattevano in piccoli gruppi. Nel luglio 1993 lo Stato Maggiore dell’Armija, l’esercito bosniaco musulmano, costituì il reparto “El Mudžahedin”, con i volontari sotto uno stesso comando. Circa 1800 soldati operativi nei territori di Zavidovići e Maglaj. Molte accuse di crimini di guerra. Il Tribunale dell’Aja condusse un’inchiesta contro lo stesso Alija Izetbegović, che fu interrotta dalla morte del presidente nel 2003. Il capo di Stato Maggiore dell’esercito bosniaco, Rasim Delić, è stato condannato nel 2008 a tre anni di carcere per non aver impedito crimini commessi dai mujaheddin. Già allora il macabro esercizio della decapitazione di 17 militari serbi.
Alla fine del conflitto, il problema dello smantellamento di quei reparti combattenti di senza patria. Ed accadde un fatto davvero singolare. Il giorno della firma degli accordi di Dayton, il 14 dicembre del 1995, in un ‘incidente’ sulla strada tra Zenica e Maglaj, vicino a Žepče, reparti speciali croati hanno ucciso in un solo colpo ben 5 comandanti del reparto “El Mudžahedin”. La persona più conosciuta tra i cinque era l’egiziano Anwar Shaban, già direttore del centro culturale islamico di Milano. Lo sceicco Shaban era la personalità principale, dal punto di vista religioso, all’interno di questa unità. I servizi di sicurezza egiziani, americani e italiani erano sulle sue tracce, mentre il governo bosniaco riteneva - così affermò - che lui non fosse più nel Paese. Alla fine della guerra, dei gruppi di volontari stranieri si sono stabiliti in case di profughi serbi nel villaggio di Donje Bočinje. Circa 160 famiglie, da sempre sospettate di organizzare/coprire un campo di addestramento militare.
Volontari e missionari islamici stranieri hanno avuto da sempre scontri con le comunità islamiche locali. Nel 1993, l’egiziano Imad Al Misry pubblicò un libretto su ‘Le opinioni che dobbiamo correggere’, nel quale si citano gli ‘errori’ dell’Islam bosniaco. Ad esempio, l’accettazione del nazionalismo e della democrazia. Nel 1995, lo scioglimento del reparto di mujaheddin fu una delle condizioni per l’aiuto americano. Negli accordi di Dayton era fissato l’obbligo di ritiro dal territorio bosniaco entro 30 giorni di tutte le forze straniere. Fu Clinton, con una lettera al Congresso del giugno 1996, a garantire che tutte le forze straniere avevano lasciato la Bosnia Erzegovina e che la collaborazione a livello militare e di scambio di informazioni con l’Iran era stata interrotta. Dopo la guerra, in Bosnia Erzegovina, sono state condotte numerose indagini antiterrorismo a livello nazionale e internazionale, ma il giudizio di Clinton non è stato mai messo seriamente in discussione.
Il problema dell’integralismo wahabita alla base di tutte le diverse forme di estremismo islamico. Un sondaggio dell’Agenzia Prisma di Sarajevo definiva a meno del 3% la popolazione vicina al movimento wahabita. Differenze principali la pratica religiosa e la separazione tra religione e Stato. L’ideologia wahabita è radicale, aggressiva, e questo è un problema particolare in Bosnia dove le relazioni tra i tre principali gruppi nazionali sono ancora delicate. Crisi economica e nuova ricerca di spiritualità, avrebbero favorito spinte integraliste. Oltre ad ‘aiuti’ dall’Arabia Saudita per chi veste i simboli esteriori del movimento. Infine, terrorismo internazionale e rimpatri. Inchieste giudiziarie su vere o presunte operazioni terroristiche dei ‘mujhaeddin’ di Bosnia. Esempio, i 6 bosniaci di origine algerina sequestrati dalle forze armate statunitensi e condotti a Guantanamo. Il giudice li libera, ma tre di loro sono sospesi nel limbo tra gli Usa della galera e la Bosnia che non li vuole.
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