Con il pretesto di colpire anche in Siria l’orrore che si
autodefinisce Stato islamico e che si è ritagliata con il coltello una
grande area fra Siria e Iraq chiamandola “Califfato”, Usa & C.
cercheranno di realizzare un regime change. Così facendo giocheranno di
fatto il ruolo di forza aerea di al Qaeda, come fu in Libia. Perché fra i
ribelli ”moderati” appoggiati dall’Occidente e i terroristi sedicenti
islamici le porte sono girevoli, e lo affermano gli stessi protagonisti.
E’ concreto il rischio che i novelli
Frankenstein Nato/Golfo riuniti nel gruppo degli “Amici della Siria (ora
“Gruppo di Londra”; la loro breve ma perversa storia è raccontata qui))
approfittino della mostruosa creatura uscita dalle loro guerre aperte o
occulte, l’ormai famigerato Stato islamico (Isis) per passare da un
intervento per procura a un “intervento umanitario” , occupando così la
Siria e realizzando, finalmente, il loro tanto agognato regime change al
quale hanno già dedicato tre anni costati al popolo siriano infiniti
lutti. Tre anni costellati da bombardamenti effettuati da Israele e
Turchia, dall’infiltrazione di uomini armati, da aiuti ai gruppi armati
“dell’opposizione” operanti in Siria.
Washington, da suo canto, rassicura i sostenitori dell’opposizione armata non-Isis in Siria e conferma
che non ha alcuna intenzione di coordinare con Damasco eventuali
attacchi aerei contro l’Isis anche per non alienarsi i membri della
coalizione anti-Assad, principalmente Turchia, Giordania, Arabia Saudita, Qatar. In tal senso, il 25 giugno 2014, Obama ha presentato al
Congresso (nel quadro del progetto Overseas Contingency Operations, OCO,
per il 2015), la richiesta di destinare, fra l’altro, 500 milioni di
dollari per formare ed equipaggiare elementi “verificati” dell’opposizione siriana
“per aiutare a difendere il popolo siriano (…) e contrastare minacce
terroristiche” . E’ la stessa richiesta reiterata – su esortazione Usa –
dagli alleati locali del gruppo Nato/Golfo di “Amici della Siria”,
ovvero la “Coalizione nazionale siriana” nata a Doha nel 2012, e il suo
braccio armato, appunto l’“Esercito siriano libero”.
Così come i “ribelli” libici, anche
quelli siriani hanno fin dall’inizio richiesto l’appoggio dell’Occidente
(cosa che non ha mai fatto l’opposizione interna non armata). E
Mohammed Qaddah, vicepresidente della Coalizione di Doha, conclude così
il suo discorso:
“Lottare contro il terrorismo significa anche rafforzare l’Esercito
libero siriano che si è dimostrato essere l’unico capace di contrastare
il gruppo estremista nella regione”. Ovviamente, Mohammed Qaddah sorvola
sulla circostanza che siano stati soltanto i curdi siriani dell’Ypd – e
non certo l’Esl e compari – a fermare l’Isis in Siria e a proteggere le
loro aree in Siria (come il Royava ai confini con la Turchia) attaccate
da Isis, Jabhat al Nusra e anche dall’Esl. Eppure i curdi siriani sono
stati esclusi dai negoziati di pace a Ginevra.
Di recente Hillary Clinton ha
affermato che bisognava armare massicciamente i “ribelli moderati
siriani” sin dall’inizio; il non averlo fatto – sostiene
– ha dato modo ai jihadisti di riempire il vuoto e di “convertire” i
ribelli in loro alleati; una dichiarazione sostanzialmente identica
a quella dell’ex ambasciatore Usa in Siria Robert Ford. In realtà, la
rapida ascesa di gruppi come al Nusra (al Qaeda in Siria) e Isis (ex al
Qaeda), si spiega sia con l’inglobamento di combattenti prima
appartenenti a gruppi “moderati”; sia con una crescita militare
determinata sostanzialmente da ingenti finanziamenti e da appoggi
logistici garantiti apertamente dalla Turchia e dai petromonarchi e –
più o meno segretamente – dall’Occidente.
Se gli aiuti in armi, denaro e
logistica sono stati dati direttamente ai gruppi qaedisti, questo la
dice lunga sulle intenzioni degli “Amici della Siria”; altro che
combattere l’Isis. Se invece sono stati dati ai “moderati” e poi sono
finiti nelle mani “sbagliate”, è successo grazie al fatto che i
“moderati” si sono spesso alleati agli islamisti. Ad esempio, secondo le
mai smentite dichiarazioni
di funzionari governativi giordani “gli Usa addestrarono in una base
segreta in Giordania decine di futuri membri dell’Isis” (…) mentre “la
Turchia, addestrava combattenti dell’Isis nelle vicinanze di Incirlik.
Va detto che un fondamentale trait d’union
fra terroristi Nato/Golfo e terroristi Isis sono stati proprio loro: i
ribelli” moderati”. Quelli “buoni”. Quelli dalla bandiera
verde-nera-bianca nella quale volentieri si avvolgono i sostenitori in
Italia di questi “partigiani rivoluzionari”, così come facevano con gli
allora mitici, e oggi famigerati, “freedom fighters” libici.
Fra i “moderati” e gli al qaedisti o,
peggio, l’Isis, c’è sempre stato un documentato sistema di “porte
girevoli” e per loro stessa ammissione. I rapporti fra Esl, al Nusra e
Isis sono un groviglio inestricabile e mutevole a seconda degli scenari e
del periodo. Così riassume il giornalista dell’Independent Robert Fisk:
“Chi sono questi ribelli ‘moderati’ che Obama vuole addestrare e
armare? Egli non li nomina e non può perché i ‘moderati’ originali, ai
quale gli Stati Uniti hanno promesso fondi – con l’aiuto della CIA, gli
inglesi, Arabia Saudita, Qatar e Turchia – sono membri del cosiddetto
‘Esercito siriano libero’ composto principalmente da disertori delle
forze armate siriane. L’Esl (…) si è dissolto. I suoi uomini si sono
ritirati, si sono arruolati con Al Nusra o nell’Isis o sono tornati
nell’esercito governativo” (…) “Si dice che i ‘combattenti per la
libertà’ non hanno ricevuto abbastanza armi. Ora ne avranno di più. E
non c’è dubbio che le venderanno, come hanno fatto prima. (…) Date ad un
uomo dell’Esl – nel caso lo incontraste – un missile antiaereo e lo
venderà al miglior offerente”.
Va da sé che anche davanti a
documentazioni incontrovertibili del canale tra ribelli “buoni” e quelli
“cattivi” c’è ancora chi si affanna a dichiarare che l’Esl è una
organizzazione “autonoma e moderata” che bisogna continuare a finanziare
e armare, contro il regime siriano e contro l’Isis. Un approccio
cronologico aiuta a capire l’assurdità di queste affermazioni.
Dai jihadisti libici con amore
Dal febbraio 2011, in Libia, i paesi
occidentali e del Golfo hanno collaborato dal cielo (bombardamenti Nato)
e a terra (servizi segreti e corpi speciali) con i “ribelli”, fra i
quali forze al qaediste (come spiega in un’intervista un ex prigioniero di Guantanamo che dopo la presa di Tripoli ne diventerà comandante militare).
Dopo la caduta e uccisione del leader Muammar Gheddafi, grandi quantità di armi
furono inviate dagli ex “ribelli” libici ai loro omologhi siriani,
grazie alla collaborazione del Qatar (per i finanziamenti e il trasporto
aereo) e della Turchia (per l’ingresso). E se anche il Supreme Military
Council dell’Esl non distribuiva armi direttamente a gruppi qaedisti,
questi comunque – secondo dichiarazioni di attivisti siriani – erano in
grado di acquistarle dai gruppi che le avevano ricevute. Il premio
Pulitzer Seymour Hersch ha di recente denunciato la rat line
fra Cia, Turchia e ribelli siriani: una rete clandestina autorizzata
nel 2012, usata per canalizzare armi e munizioni dalla Libia alla Siria
attraverso la frontiera turca.
Dall'inizio del 2012 arrivano in Siria
milizie jihadiste di dottrina sunnita, finanziate soprattutto dai paesi
del Golfo Persico, quali Arabia Saudita e Qatar. La Libia fornisce molti combattenti jihadisti.
Nell’agosto 2012, tanto per dirne una,
ad Aleppo, allora sotto il controllo dell’Esl si applicava la Sharia
anche nei tribunali, e le donne erano costrette ad uscire velate.
Via via cresce l’influenza delle fazioni “bin Laden”.
Tra tutte, si distingue (anche per efferatezza) il neocostituito Fronte
al-Nusra, affiliato ad al Qaeda. A metà 2013 arriverà dall’Iraq lo Stato
Islamico dell'Iraq e del Levante (Isis o Isil); formato da combattenti
siriani in Iraq che tornano in patria con l'obiettivo di instaurare la
Sharia. Al Qaeda di cui rappresentava il ramo iracheno lo rinnegherà nel
2014. Malgrado la reciproca scomunica, Isis e al Nusra hanno la stessa
matrice ideologica e rappresentano la maggior parte dei combattenti
dell’opposizione. Se Isis si è rivelato (ancor) più sanguinario, al
Nusra ha spesso guidato le operazioni più efficaci dei “ribelli”.
Nel novembre 2012, con la rielezione
di Obama iniziano le manovre Usa per plasmare le bande dell’opposizione
siriana secondo i propri desideri. A Doha nasce la Coalizione nazionale
siriana con un allargamento del precedente Consiglio nazionale ad altri
ambienti e a Marrakech gli “Amici della Siria” incontrano il nuovo coordinamento dell'opposizione.
Nello stesso tempo gli Usa pongono il fronte al Nusra nella lista dei gruppi terroristi. Significativamente, il leader della Coalizione siriana, al Khatib, dichiara: “Si tratta di un errore e cercherò di modificarlo”. Diversi esponenti e gruppi di ribelli “moderati” reagiscono con il motto “Siamo tutti al Nusra” rimarcando la collaborazione sempre più stretta tra Esl e al Nusra.
Fra febbraio e marzo 2013, il segretario di Stato Usa, John Kerry, annuncia
che l’amministrazione Obama sostiene l’invio di armi ai gruppi siriani
da parte delle nazioni mediorientali (leggi petromonarchie e Turchia)
perché, del resto, negli ultimi mesi si è diventati fiduciosi sul fatto
che queste armi vadano alla “gente giusta e all’opposizione moderata” che può gestirle correttamente.
A quel punto la giornalista e analista
basata in Libano Sharmine Narwani chiede all’ufficio stampa del
Dipartimento di Stato Usa: “Per favore, indicatemi qualcuno dei gruppi
armati moderati ai quali si riferisce Kerry”. Ma non riesce ad avere
nemmeno un nome (qui il carteggio)
dal portavoce di Kerry; solo considerazioni come questa: “L’opposizione
ha una visione comune e un piano di transizione per la Siria che offre
un’alternativa credibile al regime di Assad. Sosteniamo questa visione e
lavoriamo per accelerare la transizione, fornendo sostegno non letale”.
Purtroppo i giornalisti stranieri scortati dai “ribelli” non hanno aiutato a capire. In
genere si sono attenuti al copione (già collaudato in Libia) dei
“partigiani”; la presenza di combattenti da altri paesi era paragonata
alle brigate internazionali contro il fascismo in Spagna. Ma quella dei
“vecchi e nuovi embedded” è una lunga storia tutta ancora da raccontare.
Nel marzo 2013 Raqqa è il primo
capoluogo di regione siriano (con oltre un milione di abitanti nel 2010)
a essere conquistato dai “ribelli”, in un’operazione congiunta
che ha visto schierate fianco a fianco le forze dell’Esercito libero
(Esl) e dei gruppi jihadisti e salafiti di Jabhat al Nusra e Ahrar ash
Sham.
Nel giugno 2013, di sostegno ai
ribelli siriani si parla molto al meeting del G8 in Irlanda del Nord.
Gli Usa escono allo scoperto annunciando il sostegno a “ribelli
selezionati”. C’è chi scrive: “Adesso il sostegno ad al Qaeda è alla luce del sole”. Una esagerazione?
Forse no, perché, come rivelato di recente dall’ex ministro degli esteri Emma Bonino “Già nel maggio-giugno 2013 i moderati in Siria non c’erano più. (…)
“Quello che so per certo è che all’epoca tra l’altro in cui in Siria
vengono allo scoperto i tagliagole, era ormai chiarissimo, evidente e
noto che i cosiddetti moderati e laici tra i ribelli siriani erano stati
tutti epurati. Anche l’Esercito siriano libero era infiltrato da al
Nusra e dall’Isis”.
Una verità questa ribadita
anche dal colonnello Abdel Basset al Tawil, comandante del fronte
settentrionale dell’Esl: “A proposito delle fazioni che l’Occidente
vuole classificare come terroriste – il fronte al Nusra – possiamo
tranquillamente avere un dialogo con loro, sul tipo di Stato che
vogliamo creare, uno che vada bene a tutti (…) non è un segreto che
abbiamo rapporti con tutti, anche con i fratelli di al Nusra, e
cooperiamo su molti scenari”. E conclude: “Diamo tempo un mese alla
comunità internazionale, e poi riveleremo quel che sappiamo sulle armi
chimiche… credo che lei sappia che cosa voglio dire”.
E come segno di obbediente adesione
all’Isis, si possono usare anche gli ostaggi. Secondo alcune fonti,
anche il giornalista James Foley, decapitato urbi et orbi dall’Isis, era
stato rapito, in una zona occupata dai “ribelli”, poco dopo un video
girato da sostenitori dell’Esl, e secondo fonti informate era finito nelle mani della relativamente moderata brigata Dawood, in precedenza allineata con l’Esl, poi passata all’Isis.
Nel marzo 2013, l’esperto di jihadismo
Aaron Lund, dello Swedish Institute of Foreign Affairs – e
nient'affatto pro-Assad, anzi – scriveva che “purtroppo” l’Esl non esiste:
è stato un logo creato nel luglio 2011 dal colonnello Riad el Asaad e
da pochi altri disertori, presto confinati nel campo di Apaydin in
Turchia. Gruppi armati che nascevano in Siria adottavano questo logo,
pur non avendo magari alcun collegamento con il comando
d'oltrefrontiera. Ma alla fine del 2012 molti gruppi cancellavano i
simboli dell'Esl. In seguito questo termine è stato usato semplicemente
per separare l'opposizione non ideologica o solo moderatamente islamica,
dalle fazioni salafite – quelle tipo Jabhat al Nusra o Ahrar al Sham
non vi hanno mai fatto ricorso – ma all’inizio il marchio di fabbrica è
stato usato da Liwa al Islam e Suqour el Sham. Insomma giusto un
marchio, senza gerarchia. Dunque, spiega l’esperto, si usa il termine
Esl (Fsa – Free Syrian Army in inglese) per indicare fra i combattenti
anti-Damasco le fazioni che ricevono sostegno dal Golfo e dall’Occidente
e sono aperte alla collaborazione con gli Usa e altre nazioni
occidentali. Questo esclude i curdi dell’Ypg (troppo di sinistra) e quei
salafiti che sono anti-occidentali – perché poi ci sono salafiti
finanziati da Golfo e Occidente, e sono nel Syrian Liberation Front
(Slf), che riunisce gruppi che in precedenza si definivano Esl. Non
mancano gli Shields of the Revolution (affiliati ai Fratelli musulmani) che
anch'essi a volte si definiscono Esl; o il raggruppamento
Ansar-el-Islam, coalizione islamista a Damasco, i cui membri si
definivano Esl, ma non più. I masters Nato/Golfo hanno più volte cercato
di creare comandi unificati, nessuno dei quali però ha boots on the ground. Come
la Coalizione di Doha, comandano (si fa per dire) per corrispondenza,
da fuori. Gli uni dai campi in Turchia, l’altra (i “politici”) dagli
hotel a 5 stelle del Golfo.
Maggio 2013: foto rivelatrici (se ne parla qui),
scattate in una località vicino a Idleb nel corso di una vista del
senatore Usa John McCain (ambasciatore dei “rivoluzionari” libici,
siriani e di Kiev), sembra mostrare oltre al brigadier generale Selim
Idriss (con gli occhiali) dell’Esl, Ibrahim al-Badri, noto anche come
Abu Du’a che figura dal 4 ottobre 2011 nella lista dei cinque terroristi
più ricercati dagli Stati Uniti (Rewards for Justice, con una
taglia di 10 milioni di dollari) e dal 5 ottobre 2011 nella lista stessa
dal comitato per le sanzioni dell’Onu come membro di al Qaeda.
Fondatore dell’Isis, con il nome di battaglia di al Baghdadi.
Nell’agosto 2013 il generale Salim
Idriss, comandante in capo del Libero Esercito Siriano visita Latakia
per “constatare gli importanti successi e le vittorie che i nostri
rivoluzionari hanno ottenuto sul fronte costiero”. Ne da notizia Repubblica
che dimentica, comunque un non trascurabile dettaglio; quelle
operazioni sono state condotte direttamente dalle milizie del Fronte
al-Nusra.
Sulla catena che dagli Usa porta all’Isis la dicono lunga alcune foto:
nella prima, il segretario di Stato John Kerry ha dietro di sé l’ex
ambasciatore Usa in Iraq Robert Ford; nella successiva, lo stesso Ford è
ritratto nel nord della Siria, maggio 2013, insieme ad Abdul Jabbar
Aqidi, a quel tempo capo dell’Aleppo Military Council; nell’ultima,
Jabbar nell’agosto 2013 celebra insieme all’emiro dell’Isis Abu Jandar
la presa di un aeroporto militare.
Lo stesso Abdul Jabbar, in questa intervista,
concessa, a Orient TV a fine 2013, sostiene: “Sono buoni i rapporti con
l’Isis. Comunico ogni giorno con i fratelli dell’Isis. Per risolvere
problemi e dispute. I media esagerano le cose a proposito dell’Isil, li
chiamano takfiri – quelli che accusano ogni altro di apostasia – ma la
maggioranza di loro non lo sono”.
Certo le spine sono tante. Il 13
luglio 2013 Muhammad Kamal al Hamami, carismatico leader dell’Esl, partecipa
ad un vertice con i leader dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante
in un luogo segreto nel porto di Latakia. Con gli islamisti deve
discutere delle strategie da adottare per contrastare la controffensiva
dell’esercito governativo a Homs e Aleppo. Un piano comune, dopo mesi di
divisioni che hanno indebolito il fronte dei ribelli. Ma il meeting è
una trappola. Hamani, fra l’altro uno dei componenti del Supremo
concilio militare degli insorti, viene ucciso. Per punire l’Esl che
aveva abbandonato il campo di battaglia a Qusayr.
Ed ecco i rapporti fra Esl, islamisti e
il fronte curdo laico e progressista dell’Ypg (che ha fra i suoi
comandanti molte donne). Nell’agosto 2013 il manifesto
riferisce: “Il 31 luglio 2013 gruppi islamisti hanno massacrato oltre
cinquanta tra donne e bambini nei villaggi curdi di Tall Hassil e Tall
Aran. La maggior parte dei bambini e delle donne uccise farebbe parte di
famiglie di membri del fronte curdo alleato del Ypg (formato da uomini e
donne) che combattono contro i gruppi vicini ad al Qaeda e contro l'
Esercito libero siriano (sostenuto dall'Occidente ndr). Un comunicato
del Pyd accusa Unione europea, Stati Uniti e paesi arabi per il loro
silenzio di fronte ai massacri e precisa che gruppi affiliati ad al
Qaeda e Esl sono sostenuti da paesi esteri, soprattutto la Turchia che
lascia passare uomini e armi per far la guerra ai curdi”.
La rottura all’interno
dell’opposizione di Assad sembra arrivare nell'estate 2013, ma non è
auspicata. Una rottura da evitare secondo Padre Dall'Oglio che, nel suo
ultimo articolo, così scriveva: “…Per
noi siriani della rivoluzione, la riconciliazione tra forze islamiste
radicali e forze democratiche è una necessità strategica. Le scaramucce
dolorose e i crimini insopportabili avvenuti tra noi devono trovare
soluzione, essere riassorbiti, per presentarci uniti di fronte al
pericolo totale rappresentato dal regime, appoggiato direttamente o
indirettamente da troppi. Favorire i partner più affidabili,
incoraggiare le evoluzioni più auspicabili è buono. Spingerci ad
ammazzarci tra di noi non può esserlo…” "Quando dieci mesi fa Papa Benedetto visitò il Libano disse,
sicuramente per effetto delle opinioni dei prelati mediorientali
favorevoli al regime del clan Assad, che era peccato mortale vendere le
armi ai contendenti nella guerra intestina siriana. In quell'occasione
twittai che se era peccato vendercele, allora bisognava darcele gratis!
Ci hanno spinto a muoverci promettendoci protezione e solidarietà e ci
hanno vigliaccamente abbandonato; poi ci giudicano se ci siamo rivolti
malvolentieri ai loro nemici per salvarci dal genocidio promessoci dagli
Assad”.
A febbraio 2014 si annuncia che Susan
Rice, consigliere per la Sicurezza Nazionale, ha incontrato i capi
intelligence di Turchia, Qatar, Giordania raccomandando di non aiutare
più i gruppi estremisti ma solo quelli “moderati”. Nel frattempo,
comunque, Usa e petromonarchi aumentano gli aiuti a tutti i gruppi –
islamisti e non – che dichiarano di voler combattere l’Isis. Come
riferiscono fonti
degli stessi ribelli la gara per accaparrarsi i soldi accomuna (oltre all’Esl),
l’Army of Islam, Syrian Revolutionary Front, l’Esercito dei Mujahidin,
il Fronte Islamico, il Fronte dei rivoluzionari.
Lo scontro vede (sempre secondo il sito favorevole all’opposizione siriana armata
non jihadista) da un lato, l’Esercito siriano libero (Esl), l’Esercito
dei Mujahidin (moderatamente islamista) e il Fronte Islamico (che vuol
far diventare la Siria uno Stato islamico ma è "moderato";
il suo atteggiamento è ancora ambiguo ma molte sue fazioni partecipano
all’attacco) e il Srf di cui sopra. Dall’altro l’Isis (o Daesh) alleato
con Jund al Aqsa. Anche alcune unità appartenenti ad al Nusra si sono
unite nella campagna condotta contro l’Isis.
Pochi mesi dopo uno dei beneficiari di
cui sopra, – Jamal Maaruf, leader del Syrian Revolutionary Front
(organizzazione fino ad allora considerata “moderata” dagli USA)
parlando ad Antakya, in Turchia, dichiara
che “La lotta contro al Qaeda in Siria non è il nostro problema”. E
precisa che il suo gruppo – aiutato da Usa, sauditi e Qatar – anzi
lavora insieme a Jabhat al Nusra, la branca siriana di al Qaeda, visto
che l’obiettivo comune è abbattere Assad. Maaruf precisa: “Se chi ci
sostiene ci dice di dare armi a un altro gruppo, gliele diamo, come è
successo a Yabrud”. Con l’aiuto del Fronte islamico (salafita) e
dell’Esercito islamista dei mujaidin di Aleppo, il Srf ha obbligato
l’Isis a ritirarsi da Aleppo a Jarabalus. Ma se le atrocità dell’Isis
sono troppo perfino per al Qaeda, certo nessuno nega che al Nusra sia
responsabile di molte atrocità, comprese esecuzioni e sgozzamenti
documentati dai loro stessi video.
Ancora nel marzo 2014, fazioni di
ribelli più moderate e fazioni jihadiste con l’aiuto di combattenti
radicali dall’Arabia Saudita (il “green Battalion” di veterani sauditi
in Afghanistan e Iraq) cooperano nella zona di Qalamun, vicino alla
frontiera libanese, per respingere le forze governative. Lo dichiarano
attivisti come Abu Omar al Homsi (che di lì a poco sarà arrestato in
Libano come membro di al Nusra), spiegando che il tutto è coordinato da
un centro operativo che fa capo ad al Nusra.
Il 9 giugno 2014, il capo dello staff del Supreme military council dell’Esl dichiara alla
Reuters che gli Usa distribuiscono armi direttamente a gruppi difficili
da controllare sul fronte nord e sud. Ciò potrebbe portare a un’altra
Somalia.
Robert Fisk aveva ragione.
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