Lunedi 18 agosto, dei velivoli non identificati hanno sorvolato i cieli di Tripoli alle 2 di notte (ora locale) mentre forti esplosioni sono state udite a circa 15 km a est della capitale libica. E' quanto affermano alcuni abitanti e quanto ha riferito la Tv locale 'Libia Awalan', ritenuta vicina al generale Haftar. Secondo alcune fonti i due misteriosi aerei da guerra che avrebbero bombardato Tripoli nella notte tra il 18 e il 19 agosto sarebbero jet delle forze aeree del generale anti-islamista Khalifa Hafthar (pubblicamente sostenuto dagli Stati Uniti). A rivendicarlo è stato il generale Saqr Jarouchi, uno dei consiglieri di Haftar, che combatte da mesi contro gli jihadisti di Ansar al Sharia a Bengasi, arrivando anche a colpire Tripoli.
Saqr Jarouchi ha esplicitamente affermato: "Erano nostri i jet che hanno effettuato i raid" e l'obiettivo era la brigata di Misurata, che da mesi si sta scontrando a Tripoli con la rivale Brigata Zintan. Ma la cosa sarebbe stata smentita dall’aviazione di Bengasi legata ad Haftar, dove si è affermato che “Erano aerei stranieri, non libici”. Ed anche il “governo libico” – che al momento si trova a Tobruk, vicino al confine con l'Egitto, e che non controlla più né l’esercito né la capitale – ha dichiarato di non avere informazioni su chi siano i responsabili dell’attacco. L’ambasciatore italiano è apparso in una televisione locale per affermate che l’aeronautica militare italiana non è responsabile dell’attacco. La NATO ha confermato che nessun aereo dell’alleanza ha operato in Libia negli ultimi giorni. Ma alcuni testimoni affermano che gli aerei, dopo aver bombardato, si sono diretti verso nord in direzione delle basi militari Usa di Rota (Spagna) e verso la Sicilia.
Una serie di dati pongono quantomeno alcuni interrogativi.
In primo luogo i misteriosi bombardamenti aerei sulla Libia sono avvenuti il giorno precedente l'incidente avvenuto il 19 agosto tra i due Tornado italiani sui cieli delle Marche. Se nessuna congettura appare al momento possibile, la coincidenza appare per ora innegabile (quasi una maledizione che ricorda la vicenda di Ustica), soprattutto se verrà confermato che gli orari di volo – partenza da Ghedi e momento dell'impatto – presentano delle contraddizioni e che i due aerei militari volavano a bassa quota, quella che viene usata per gli attacchi contro obiettivi a terra. Non solo. Alcuni dei piloti morti nell'incidente avevano partecipato ai bombardamenti contro la Libia nel 2011. Dunque un volo di addestramento al combattimento o una missione di ritorno non ufficiale?
In secondo luogo, che “un intervento” in Libia stia ormai al centro delle ambizioni del governo Renzi, per far guadagnare “autorevolezza” al suo esecutivo e al suo mandato di presidente del Semestre Europea, è confermato dalla decisione di portare anche il dossier Libia sul tavolo del vertice della Nato in programma per i primi di settembre in Galles. La notizia era trapelata a fine luglio, durante l'incontro bilaterale di Renzi con il generale-presidente egiziano Al Sisi nel quale il dossier libico è stato oggetto di un convergente interesse strategico tra Italia ed Egitto.
In terzo luogo, ormai è da ottobre del 2013 che la Marina Militare italiana ha militarizzato il Mediterraneo Sud attraverso l'operazione “Mare Nostrum”. Ufficialmente si tratta di un'operazione militare a scopo umanitario guidata dalla Marina italiana, lanciata in risposta alla tragica morte di oltre 360 migranti al largo delle coste dell'isola di Lampedusa. Ma più di qualche osservatore sul campo, testimonia che in realtà per i salvataggi dei migranti sui barconi si è rivelata molto più attrezzata ed efficace la Guardia Costiera che la Marina Militare. Non si può che concordare con Antonio Mazzeo quando afferma che siamo in presenza di una ulteriore militarizzazione del Mediterraneo, tramite l’operazione Mare Nostrum, “che prima ancora di essere un’operazione di soccorso – è bene ricordarlo – punta al controllo delle rotte e delle frontiere”.
Come è noto, quando ci si prepara a fare del “lavoro sporco” (e un intervento militare è questo) alzare cortine fumogene e attuare operazioni “coperte” è una attività quasi naturale.
I prossimi giorni ci diranno se l'instabilità in Libia resterà ancora un dossier marginale della agenda internazionale oppure diventerà un target dell'interventismo “militare-umanitario” con cui le potenze della Nato declinano le priorità strategiche di volta in volta. Ma se così fosse, l'Italia sarebbe coinvolta fino al collo. Complottismo? Vedremo.
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