25/08/2014
Isis minaccia la Siria Assad ‘male minore’ serve all’occidente
‘Il nemico del mio nemico è mio amico’. La Siria di Assad, attraverso il suo ministro degli esteri si è detta pronta a collaborare contro i terroristi. Disposta ad accettare anche azioni militari “di Gran Bretagna e degli Usa” sul proprio territorio, ma in ‘coordinamento con il governo siriano’.
Inimmaginabile sino a ieri, e la debolezza militare del regime di Damasco diventa forza politica. La Siria di Assad attraverso il ministro degli esteri Walid al Muallim si dice è pronta a collaborare alla lotta contro i terroristi. Per sconfiggere Isis che ora minaccia la città di Aleppo, la Siria sarebbe disposta ad accettare anche azioni militari “di Gran Bretagna e degli Usa” sul proprio territorio, ma in ‘coordinamento con il governo siriano’. Condizioni, il rispetto della risoluzione Onu 2170 contro i gruppi jihadisti in Siria e Iraq. Il problema sarà ovviamente quello di definire quali i ‘terroristi’ da battere.
Per sconfiggere i jihadisti dello Stato Islamico in Iraq e nel Levante è necessario affrontarli anche in Siria. E di fatto, collaborare con Bashar al Assad. Nessuno lo dice così apertamente negli Stati Uniti, ma dopo le prime ammissioni giunte ieri dal Pentagono, oggi è la Casa Bianca, attraverso Ben Rhodes, il vice consigliere per la sicurezza nazionale ad affrontare il tema. Rhodes, rispondendo ad una domanda su un eventuale attacco contro i jihadisti in Siria, non ha escluso nulla, affermando che «valuteremo cosa sia necessario nel lungo termine per proteggere gli americani».
Il ministro siriano Al Muallim, maliziosamente, è intervenuto anche sul fallito blitz delle forze speciali Usa per liberare il giornalista James Foley, poi ucciso dall’Isis: «Vi assicuro che se ci fosse stato un coordinamento tra gli Usa e il governo siriano, l’operazione non sarebbe fallita». Altra carta da giocare, la liberazione del giornalista Usa Peter Theo Curtis avvenuta ieri. Tutto a cinque giorni dopo la diffusione del terribile video della decapitazione del giornalista James Foley. Peter Curtis è stato liberato, quasi due anni dopo la sua scomparsa nel sud della Turchia oltre i confini con la Siria.
I fondamentalisti del califfato sono ormai padroni di un territorio molto esteso tra l’Iraq e la Siria e la situazione preoccupa i paesi occidentali. Ieri i miliziani jihadisti hanno conquistato la base aerea di Tabqa, nella regione settentrionale di Raqqa. Secondo fonti delle opposizioni siriane, circa 350 jihadisti e 170 militari siriani sarebbero morti negli ultimi cinque giorni di combattimenti. Ora, ad essere minacciata sarebbe la stessa Aleppo. A contendersi la città tutte le forze in campo, lealisti, Fsa, jabhat e curdi ypg e pkk. Almeno centomila uomini pronti al massacro per l’ultima roccaforte.
Silenzio prudente e certo imbarazzato da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna alla proposta siriana, mentre dall’Europa la cancelliera Merkel denuncia il rischio genocidio rappresentato da Isis. Lo Stato Islamico in Iraq e nel Levante è «un cancro che va estirpato», aveva detto il presidente Obama, ma specie dopo la decapitazione di James Foley, negli Usa sono aumentate le critiche alla sua strategia che con raid in Iraq mirano solo al contenimento di Isis. Quesito Usa, come collaborare con Assad facendo finta che non sia un nemico e senza inviare forze americane nel mattatoio siriano?
Mattatoio siriano dove, secondo quanto ha reso noto oggi l’Onu, dall’inizio della guerra civile tre anni e mezzo fa sono state uccise almeno 191 mila persone. Ma l’Isis va «ben oltre ogni gruppo terroristico visto finora ed è una minaccia a lungo termine», afferma il segretario alla difesa Hagel, e «tutte le opzioni» sono sul tavolo per affrontarlo. Una organizzazione che «può essere contenuta, ma non all’infinito», ha affermato il capo di stato maggiore, il generale Martin Dempsey. «Senza affrontarne il ramo in Siria può essere sconfitta? La risposta è no», ha aggiunto secco Dempsey.
Dunque Isis deve essere affrontato da entrambe le parti della frontiera inesistente tra Iraq e Siria. E anche oltremanica c’è un orientamento in tal senso, anche a costo di dover dialogare con Assad. Ne ha parlato in maniera esplicita l’ex capo di Stato maggiore dell’esercito britannico Lord Dannatt, secondo il quale «se si deciderà per raid aerei sulla Siria, bisognerà avere l’approvazione di Assad». Valutare le priorità del primo nemico da battere. L’ex ministro degli Esteri Rifkind ha affermato che gli Usa e i suoi alleati devono essere pronti a lavorare con Assad se vogliono sconfiggere l’Isis.
Fonte
Schizofrenie dell'avventurismo geopolitico, che diventa un inferno quando - sistematicamente - sfugge di mano senza nemmeno aver valutato le conseguenze del "caso peggiore".
Se fronte compatto con Assad sarà, avremo l'ennesima dimostrazione che un intero emisfero è obnubilato da una visione della politica e da un inseguimento dei propri interessi che non va oltre il giorno dopo.
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