26/08/2014
Parte l'attacco diretto al sindacato. Dimezzati distacchi e permessi
Promesso e fatto. Il governo Renzi si è dimostrato fin da subito come il nemico più determinato che il mondo del lavoro abbia mai incontrato negli ultimi 70 anni.
Lo si era capito fin dai primi provvedimenti, univocamente mirati a liquefare il "mercato del lavoro". Parliamo solo dell'antipasto (apprendistato e contratti a termine), perché il minacciato "jobs act" non ha ancora preso forma completa.
Ora la ministra Marianna Madia - colei che, nominata "responsabile del lavoro" per il Pd, confondeva clamorosamente il ministero del lavoro con quello dello sviluppo economico, visitando quello sbagliato - ha apposto la sua firma sulla circolare che dimezza i permessi sindacali e anche i distacchi.
La misura è giustificata con una delle tante menzogne in cui brilla il governo Renzi: "tagliare la spesa pubblica". Il "risparmio" è nullo, perché si parla di poco più di mille quadri sindacali (in proporzione al numero degli iscritti nel settore del pubblico impiego), che continueranno a "pesare" sui conti pubblici.
Al contrario, questa decisione peserà molto sui sindacati, perché si ritroveranno con molto personale a tempo pieno non più disponibile. Scendendo nei dettagli, la decisione peserà relativamente meno sui sindacati "complici", cui pure appartiene la grande maggioranza dei "distaccati" destinati a rientrare, mentre graverà molto sui sindacati di base. Questioni di "potenza economica" relativa. La sostituzione di quei distaccati con altri funzionari - stipendiati direttamente dal sindacato - sarà molto più semplice, o meno gravosa, per chi vanta finanze importanti. E in ogni caso, vista la rapida trasformazione di questi baracconi in "strutture di consulenza fiscale" (Caf, patronati, ecc), non ci saranno grandi problemi di riassetto organizzativo. Per i sindacati conflittuali, invece, alle prese con "organici" più ristretti e "finanze" sempre problematiche, i problemi verranno moltiplicati. Ma non dubitiamo che verranno affrontati con la consueta dose di accresciuto impegno militante.
Ma il segnale è "costituente": questo governo, e i poteri che l'hanno selezionato disegnandone anche il programma, considera il sindacato in quanto tale un ostacolo al profitto e alla "crescita". Persino i "complici" sono visti, in questo quadro, come "inutili".
E' la conseguenza del venir meno della "mediazione sociale", quello che era stato il pilastro del "modello sociale europeo" dal dopoguerra all'inizio del nuovo millennio. Nell'epoca dell'economia "keynesiana", centrata sullo stato-nazione (per fare economia keynesiana serve uno stato), quasi nessun settore sociale doveva restar fuori dalla mediazione sociale. Anche nel conflitto più aspro, ogni interesse sociale particolare doveva avere la sua rappresentanza - sindacale e politica - capace di portare in Parlamento quegli interessi e "mediarli" con quelli delle altre figure sociali rilevanti.
Oggi non più. L'unico interesse legittimo è quello dell'impresa. Quindi l'unica rappresentanza ammessa è quella delle forze che ne difendono gli interessi. Al massimo ci può essere spazio per chi rappresenta il settore "innovativo" del sistema delle imprese (multinazionali e grandi aziende in genere; ovvero il Pd e dintorni) e chi difende i settori più arretrati, clientelari, semi-criminali (il cosiddetto "blocco berlusconiano").
Ma per i lavoratori è previsto solo il silenzio, l'obbedienza, l'assenza assoluta di pretese, sia salariali che normative.
Per questo - e non per "risparmiare" - vengono dimezzati distacchi e permessi sindacali. Perché organizzare i lavoratori - anche a prescindere dalla qualità della "linea sindacale" - è un lavoro. Che richiede tempo, costruzione di competenze, continuità organizzativa e di figure di riferimento. Eccetera.
E' come se il governo avesse detto questo lavoro è da impedire, ostacolare, ridurre ai minimi termini.
Qualche passo avanti ancora su questa strada, e lo dichiareranno "illegale".
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