Si era già capito a ridosso del 24 agosto che i piani del regime di Kiev di riconquistare rapidamente le città del Donbass insorte dopo il golpe di febbraio erano stati frustrati nonostante una campagna militare che ha colpito la popolazione civile con bombardamenti indiscriminati e assedi medievali.
Ma negli ultimi giorni, da quando le milizie delle Repubbliche Popolari – con il sostegno di Mosca – hanno aperto un secondo fronte nel Donbass meridionale la situazione per le forze governative è letteralmente precipitata e si è assistito a un capovolgimento di fronte vero e proprio.
In queste ore le agenzie di stampa internazionali descrivono quello che sembra un vero e proprio esodo da Mariupol, città di quasi 500 mila abitanti che era stata conquistata manu militari dalle forze golpiste all’inizio dell’estate - dopo una strage di soldati e abitanti passati con gli insorti - e che ora, dopo lo sfondamento da parte della guerriglia delle linee ucraine sul Mare di Azov e l’occupazione di Novoazovsk, potrebbe essere ripresa dalle forze delle Repubbliche Popolari. Mariupol è molto importante perché è il cuore della metallurgia ucraina ed è la sede delle più grandi fabbriche del settore nel paese, e anche perché il suo controllo spianerebbe la strada al ricongiungimento territoriale tra le aree controllate dai ‘ribelli’ e la Crimea passata sotto controllo russo.
Oggi le forze militari della 'Novorossiya' si sono impossessate di un gran numero di armi pesanti, carri armati e lanciamissili abbandonati dai militari di Kiev a Granitnoye, località a metà strada tra Donetsk e Novoazovsk.
Secondo alcuni giornalisti della France Presse sarebbero molti gli abitanti di Mariupol che in queste ore starebbero scappando a bordo di autobus e camion non solo verso ovest, ma soprattutto verso Donetsk, di fatto la capitale dei territori che hanno proclamato la propria indipendenza da Kiev scatenando la feroce reazione militare del regime. Oggi in città si è tenuta una manifestazione indetta dai nazionalisti alla quale hanno preso parte un migliaio di persone per chiedere “un'Ucraina unita e indipendente” e di fronte alla minaccia di un attacco di quelli che Kiev definisce ‘i terroristi’ il governatore golpista della regione, Sergiy Taruta, ha lanciato un appello agli abitanti affinché costituiscano un "battaglione" per difendersi.
Ma gli stessi media ucraini hanno dovuto diffondere in questi giorni notizie sul fatto che sono sempre più numerosi i militari inviati nell’est contro le Repubbliche Popolari che rifiutano di combattere o che addirittura disertano. E anche il morale di alcuni battaglioni punitivi composti da militanti di estrema destra o da sbandati alla ricerca di bottino sembra essere sempre più basso, anche perché spesso i soldati non hanno né armi né strumentazioni adatte a tenere testa alle milizie popolari degli insorti, ben più determinate e motivate al combattimento.
La situazione per il regime di Kiev si fa difficile. Di fronte a quella che – anche per nascondere la propria inettitudine dal punto di vista militare – l’oligarchia ucraina definisce ‘invasione russa’ l’ex premier Yulia Tymoshenko e altri leader nazionalisti hanno chiesto l’introduzione immediata della legge marziale e la sospensione dei diritti costituzionali mentre si è appreso oggi che il Consiglio di Sicurezza nazionale di Kiev ha deciso di imporre nuovamente la leva obbligatoria – che era stata abolita circa un anno fa – a partire già dai prossimi mesi.
Ma le sconfitte militari e le condizioni in cui i soldati vengono mandati al fronte stanno causando problemi anche dove non si combatte. Centinaia di madri e parenti dei militari inviati a combattere nel Donbass hanno manifestato nel centro di Kiev chiedendo che l’esercito venga rifornito di mezzi e armi pesanti criticando pesantemente l'esecutivo e le modalità della conduzione della campagna militare contro il Donbass, costata finora la morte di parecchie centinaia di soldati regolari e di ‘volontari’ inquadrati nella Guardia Nazionale. Ieri nel corso di una manifestazione convocata dall'estrema destra e dai nazionalisti presso la sede del Ministero della Difesa, che ha preso di petto il regime anche per la crisi economica, i contestatori hanno chiesto la destituzione di alcuni generali e le dimissioni del ministro della Difesa Valeri Heletei accusato di essere sostanzialmente un incapace, come del resto i suoi due predecessori che hanno dovuto abbandonare l’incarico dopo il golpe di febbraio. Anche il presidente Poroshenko è stato bersagliato dalle critiche e i manifestanti ne hanno chiesto l'impeachment e le dimissioni. Mogli e madri di soldati ucraini hanno anche bloccato un'autostrada nella città di Krivoy Rog.
Oltretutto lo sfondamento sul Mare d’Azov e la controffensiva lanciata dalle Repubbliche Popolari nei dintorni di Donetsk ha portato all’accerchiamento di migliaia di militari ucraini, molti dei quali feriti, nella località di Ilovaisk e in altre aree dell'oblast di Donetsk che il governo aveva incautamente data per conquistate e che invece sono saldamente sotto il controllo delle milizie popolari.
Il presidente russo Vladimir Putin ha preso oggi la palla al balzo per lanciare un messaggio al regime ucraino in difficoltà anche se il suo invito è formalmente rivolto ai comandi militari della ‘Novorossija’. «È evidente che la milizia ha registrato seri successi bloccando le operazioni militari di Kiev, che rappresentano una minaccia mortale per la popolazione del Donbass e che ha già provocato enormi perdite tra la popolazione pacifica. Come conseguenza delle azioni della milizia, un gran numero di soldati ucraini – che non hanno partecipato all'operazione di propria iniziativa ma obbedendo a degli ordini – sono rimasti accerchiati. Invito le forze della milizia ad aprire un corridoio umanitario per loro… perché possano riunirsi alle proprie famiglie, tornare alle madri, alle mogli e ai figli; e invito a fornire assistenza medica ai feriti. La Russia, da parte sua, è pronta a offrire aiuti umanitari alla popolazione del Donbass, coinvolta in una catastrofe umanitaria. Invito nuovamente le autorità ucraine a interrompere immediatamente le operazioni militari, a fermare il fuoco, a sedersi al tavolo del negoziato con i rappresentanti del Donbass, a risolvere tutti i problemi esclusivamente per vie pacifiche» ha detto il capo del Cremlino mettendo il dito nella piaga.
Se i comandi militari della Nuova Russia hanno naturalmente annunciato la propria disponibilità ad aprire un corridoio umanitario, a condizione che i soldati ucraini in ritirata – molti dei quali sono estremisti di destra dei Battaglioni Azov, Donbass e Dniepr – abbandonino sul posto armi e attrezzature, il governo di Kiev ha invece risposto un secco no all'apertura di un corridoio umanitario che porti in salvo le proprie truppe ordinando alle sue forze militari di tentare di rompere l'accerchiamento.
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