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30/08/2014

Il fallimento di 30 anni di deflazione


Ha molto contribuito al disastro economico attuale un falso storico e ideologico. Quando in Italia e in Germania alla fine degli anni '70 si adottarono le politiche liberiste e si definì come prioritaria la lotta alla inflazione, fu spesso usato il monito che essa era all'origine del fascismo e soprattutto del nazismo.

Falso. L'ascesa del fascismo da noi con l'inflazione non c'entra nulla e con quella del nazismo ancora meno. L'iperinflazione degli anni 20 in Germania, usata come babau per giustificare tutto, persino lo statuto della Banca Centrale Europea, fu domata in pochi mesi dai governi di centrosinistra di quel paese e dal banchiere Schacht. Fu invece la disoccupazione di massa dopo la crisi del '29 a a far crescere a dismisura il consenso ai nazisti, che fino ad allora era stato in percentuali bassissime. E quel consenso si alimentava del fatto che i governi democratici affrontavano la crisi con le politiche del rigore e dell'austerità, esattamente come oggi.

Sulla base di questo falso storico le politiche deflazionistiche, che al massimo possono essere usate come emergenza per brevi periodi, sono diventate da più di trent'anni la politica economica ufficiale di tutti i paesi europei, Italia e Germania in testa.

Da questo punto di vista tutta la classe dirigente dovrebbe esultare per il fatto che ora l'obiettivo è stato raggiunto: l'inflazione è stata soppressa e al suo posto abbiamo la stagnazione o il calo dei prezzi.

La separazione della Banca d'Italia dal Tesoro, per impedire allo stato di stampare moneta per finanziarsi e per costringerlo a ricorrere al mercato, cioè in primoluogo alle banche, con il conseguente aumento a dismisura del debito e dei suoi vincoli. La distruzione del potere d'acquisto dei salari, avviata con la cancellazione della scala mobile e completata con l'euro. La precarizzazione e la flessibilità del lavoro, le privatizzazioni, tutte le politiche economiche e sociali attuate senza distinzioni da tutti i governi fino a quello attuale, sono state giustificate nel nome della lotta all'inflazione. E ora abbiamo 6 milioni di disoccupati.

Ora è immaginabile che parta il solito coro delle litanie autogiustificanti, mentre si continuerà a proporre in concreto la continuità di queste politiche trentennali, corretta solo dall'iniezione di poca liquidità nel sistema. Che fallirà nel proposito di far ripartire la crescita.

Non si è sentito nessun effetto economico, ma non quello elettorale, degli 80 euro di Renzi. Draghi, che probabilmente aveva suggerito quella misura al presidente del consiglio, ora fa capire che vuol introdurre liquidità nel sistema finanziario. Se glielo lasceranno fare il risultato sarà uguale a quello degli ottanta euro: zero.

Perché alla base della crisi attuale sta proprio la continuità delle politiche liberiste e deflazionaste che durano da 35 anni. E se quelle non vengono messe in discussione alla radice, le iniezioni periodiche di liquidità sono acqua sparsa nel deserto.

Qui però sta la difficoltà vera. Perché le classi dirigenti economiche politiche e sindacali sono state selezionate in questi anni sulla base della priorità della lotta all'inflazione. Un'altra politica non la vogliono e neppure la sanno fare. Come ben dimostra l'ottusa tracotanza del ministro del Tesoro Padoan, che tranquillamente ha ammesso di aver sbagliato tutte le previsioni, ma che ne sta preparando altre.

Anche l'opinione pubblica è stata educata al tabù della lotta all'inflazione. Per cui oggi spera nelle riforme liberiste e autoritarie di Renzi, che, se realizzate effettivamente, aggraveranno la crisi.

Per cambiare ci vuole una rottura di fondo. Ci vuole il ritorno alla gestione pubblica della moneta, con una banca centrale che la stampi invece che ricorrere alla finanza internazionale. Ci vogliono grandi investimenti pubblici in deficit e politiche di pubblicizzazione e non di privatizzazione. I salari devono crescere senza il vincolo capestro delle produttività e della redditività d'impresa. Il lavoro deve riconquistare sicurezza e dignità rompendo la gabbia della precarietà.

Queste sono le politiche non convenzionali necessarie, le stesse che presero gli stati dopo gli anni trenta del secolo scorso dopo il fallimento del rigore. Queste politiche romperebbero sicuramente gli equilibri e i poteri della globalizzazione, ma lo farebbero dal lato della pace. L'alternativa è che la globalizzazione salti per aria comunque, ma dal lato della guerra, come ci ricorda anche il Papa.

Non c'è niente da fare: o si mettono in discussione i cardini della politica deflazionistica di questi decenni o la crisi si aggraverà sempre più trasferendosi dal campo economico a quello sociale e da questo al campo della democrazia e della stessa convivenza, come la storia insegna a chi da essa vuole imparare.

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