23/08/2014
La Yellen come Catalano, farà la cosa ovvia
Purtroppo il grande Catalano – quello della compagnia di Renzo Arbore in “Ma la notte no” – è scomparso. L'imitaziona fattane dal pesidente della Federal Reserve, Janet Yellen, ce lo ha dolorosamente ricordato prendendo la parola nell'annuale summit dei banchieri centrali (e decine di altri, privati ma niente affatto “periferici”) organizzato dalla Fed di Kansas City.
L'altro elemento involontariamente comico è più consueto: che la crema dei banchieri si veda in un posto chiamto Jackson Hole (letteralmente: il buco di Jackson) per cavare un segnale da aruspici nell'orgia di dati e grafici sullo stato dell'economia globale dà indirettamente il senso della nostalgia per gli oracoli. Da Delfo in poi.
Cosa ha detto Janet Yellen di tanto “catalanesco”? “Se i progressi economici e sul mercato del lavoro saranno più rapidi del previsto si potrebbe aver un aumento dei tassi prima delle attese. Se invece dovessero essere più lenti, l'aumento dei tassi potrebbe accadere più tardi delle attese”. E vorremmo vedere che facesse l'opposto...
Tautologie a parte, c'è un evidente differenza di passo tra la banca centrale Usa da lei diretta e quella europea guidata da Mario Draghi. Quella americana ha infatti inaugurato la lunga stagione dei tassi a zero e dei quantitative easing (“iniezioni di liquidità”) e ogni mese sembra più vicina a invertire la tendenza. La Bce, al contrario, sotto lo sguardo cinico dell'”azionista di riferimento” (Bundesbank) ogni mese rinvia l'apertura del portafoglio, dopo aver a fatica azzerato i tassi.
La ragione strutturale è semplice: l'economia Usa è ancora il fattore trainante, per quanto verso la stagnazione perenne. La ragione politica, o statutaria, altrettanto: la Fed non ha alcuna pretesa di “indipendenza” dal potere politico di Obama (appena quel tanto che si giustifica con le competenze tecniche), mentre quella europea supplisce di fatto – ma con la sola politica monetaria – all'inesistenza di una politica economica continentale. Intendiamo dire: l'inesistenza di una politica economica “just in time”, reattiva rispetto al mutare dei dati e all'avanzare della crisi, non semplicemente “fedele ai parametri” fissati oltre venti anni fa.
Pesa, su questa differenza di comportamento, anche la differenza statutaria: la Fed deve tener d'occhio sia l'inflazione che il tasso di disoccupazione, quella europea – grazie alle “geniali regole” fissate nel trattato intergovernativo che l'ha istituita – soltanto l'inflazione.
Nonostante questo indubbio vantaggio competitivo (può reagire agli eventi in accordo con il potere politico), anche la Fed di Yellen si è però persa nel tentativo di seguire i segnali di fumo che salgono dall'economia reale Usa. Dove il tasso di disoccupazione ufficiale è diminuito, ma per gli scherzi di una statistica “allegra” (quella Usa vive di “revisioni” continue), in presenza di un'occupazione reale pressoché stagnante e tenuta in piedi soprattutto da quelli che, qui da noi, si chiamano “lavoretti”, a basso salario, breve durata, competenze zero. Non proprio il quadro che ci si aspetterebbe dall'iperpotenza che vuol fare “il poliziotto del mondo” grazie alla superiorità tecnologica.
Ma tanto deve bastare al “tecnico” che guida l'istituto: «Alla luce dei progressi» registrati sul mercato del lavoro, la Federal Reserve «prevede di completare a ottobre» il programma di acquisto titoli mensili. Al momento il programma prevede un intervento sui mercati di 25 miliardi di dollari al mese. Ma per quasi due anni ne aveva elargiti 85 ogni 30 giorni...
Mario Draghi parlerà soltanto in serata e da lui ci si aspetta sempre una data perché il suo “bazooka” (iniezioni di liquidità) cominci a sparare. Il rischio è chiaro: iniziare a dover sparare colpi mentre gli “alleati-concorrenti” (la Fed e la banca centrale inglese) prendono a fare l'esatto opposto...
A noi non resta che registrare che nel momento in cui le principali economie reali del mondo – Cina esclusa – segnano il passo o arretrano, le borse corrispondenti macinano un record dopo l'altro. Tra i “tecnici”, in linguaggio semplice, si chiama “bolla speculativa”. Pronta a esplodere...
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