Questa volta non si parla “solo” di privatizzazione, bensì di obbligo alla quotazione in Borsa:
entro un anno dall’entrata in vigore della legge, gli enti locali che
gestiscono il trasporto pubblico locale o il servizio rifiuti dovranno
collocare in Borsa o direttamente il 60%, oppure una quota ridotta, a
patto che privatizzino la parte eccedente fino alla cessione del 49,9%.
Se non accetteranno
il diktat, entro un anno dovranno mettere a gara la gestione dei
servizi; se soccomberanno otterranno un prolungamento della concessione
di ben 22 anni e 6 mesi!
Come già Berlusconi, anche Renzi si mette la foglia di fico di non nominare l’acqua
fra i servizi da consegnare ai capitali finanziari; ma, a parte il
fatto che il referendum non riguardava solo l’acqua, bensì tutti i
servizi pubblici locali, è evidente l’effetto domino del provvedimento,
sia sulle società multiutility che già oggi gestiscono più servizi
(acqua compresa), sia su tutti gli enti locali che verrebbero
inevitabilmente spinti a privatizzare tutto, anche per poter usufruire
delle somme derivanti dalla cessione di quote, che il Governo pensa bene
di sottrarre alle tenaglie del patto di stabilità.
Nel pieno della crisi sistemica, ecco dunque il cambio di verso dello scattante premier: non
più l’obsoleta privatizzazione dei servizi pubblici locali, bensì la
loro diretta consegna agli interessi dei grandi capitali finanziari,
che da tempo attendono di poter avviare un nuovo ciclo di
accumulazione, attraverso “mercati” redditizi e sicuri (si può vivere
senza beni essenziali?) e gestiti in condizione di monopolio assoluto
(per un solo territorio vi è un solo acquedotto, un solo servizio
rifiuti).
Da queste norme,
traspare in tutta evidenza l’idea non tanto dell’eliminazione del
“pubblico” – quello è bene che rimanga, altrimenti chi potrebbe
organizzare il controllo sociale autoritario delle comunità? – bensì
della sua trasformazione da erogatore di servizi e garante di diritti,
con un’eminente funzione pubblica e sociale, in veicolo per l’espansione
della sfera d’influenza degli interessi finanziari sulla società.
Naturalmente, è
ancora una volta la Cassa Depositi e Prestiti ad essere utilizzata per
questo enorme disegno di espropriazione dei beni comuni: come già per la
dismissione del patrimonio pubblico degli enti locali, è già allo
studio un apposito fondo per finanziare anche la privatizzazione dei
servizi pubblici locali.
Emerge, oggi più che
mai, la necessità di una nuova, ampia e inclusiva mobilitazione
sociale, che deve assumere la riappropriazione della funzione pubblica e
sociale dell’ente locale come obiettivo di tutti i movimenti in lotta
per l’acqua e i beni comuni, e di una nuova finanza pubblica e sociale, a
partire dalla socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti.
E, poiché il disegno
di espropriazione dei servizi pubblici locali viene portato avanti con
il pieno consenso dell'Anci, espresso a più riprese dal suo Presidente
Piero Fassino, una domanda sorge spontanea: non è il momento per i molti
Sindaci che ancora non hanno abdicato al proprio ruolo di primi garanti
della democrazia di prossimità per le comunità locali, di iniziare a
ragionare su un'aggregazione alternativa degli enti locali, fuori e
contro un Anci al servizio dei poteri forti?
Marco Bersani (Attac Italia)
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