Mentre la cosiddetta ‘operazione terrorismo’ lanciata da Yatseniuk e continuata da Poroshenko – che pure in campagna elettorale si era presentato come ‘moderato’ – è diventata ormai una strage e il paese è diviso da una guerra civile che proprio ieri si è estesa ad altri territori, i nuovi padroni di Kiev hanno deciso di liquidare un parlamento che non è più al passo con le necessità del nuovo regime. A Poroshenko e soci serve una Rada più ubbidiente, più rapida, e soprattutto priva di rappresentanti delle forze politiche di opposizione, ad esempio i comunisti ormai fuori legge di fatto. Il Fmi e la Troika premono per una rapida integrazione del paese nei meccanismi egemonici europei e per l’adozione dei pesantissimi piani di ristrutturazione economica imposti in cambio di prestiti che in gran parte serviranno a ripianare il debito e a spendere miliardi di euro in armi, carri armati, caccia e chi più ne ha più ne metta.
In un nuovo parlamento eletto sotto il nuovo regime, la cordata di oligarchi che sostiene Poroshenko spera di avere una maggioranza ampia e docile, togliendo di mezzo o riducendo al lumicino anche i gruppi apertamente fascisti e neonazisti assai utili quando c’era da menare le mani in piazza dell’Indipendenza o per riempire i battaglioni punitivi scagliati contro le popolazioni del Donbass ma troppo pretenziosi e forieri di brutte figure nei contesti internazionali. La nuova Rada potrebbe vedere l’ingresso di nuove formazioni politiche locali frutto dello spappolamento del Partito delle Regioni di Yanukovich estromesso dal potere con il golpe di febbraio ma ancora egemone in alcune aree orientali del paese. Ma potrebbero rafforzarsi anche alcuni partiti-azienda fondati da oligarchi che hanno fatto fronte comune fino a febbraio ma che ora si contendono il potere – politico ma soprattutto economico – fra loro e con Poroshenko, mentre armano e finanziano milizie private impiegate non solo dove si combatte ma anche per regolare i conti nelle città dove governano incontrastati. E un parlamento dominato dai partiti personali – anche se tutti di orientamento nazionalista e sciovinista, più o meno liberisti – non sarebbe affatto facile da controllare.
Oltretutto, la picchiata dell’economia del paese e la chiusura del mercato russo potrebbe provocare un malessere sociale difficile da gestire dopo la sbornia nazionalista dei primi mesi post Yanukovich. Tutti i ras del nuovo regime sono ovviamente d’accordo sul drastico aumento delle spese militari annunciato da Poroshenko mentre carri armati e blindati sfilavano nel centro di Kiev ma i 2,5 miliardi di euro stanziati allo scopo potrebbero sottrarre risorse da distribuire ai vari oligarchi e ai loro entourage, aumentando oltremodo la competizione. Competizione che a volte - vedi il video - si trasforma in vere e proprie scazzottate in parlamento.
Pochi giorni fa il ministro dell'economia di Kiev, Pavlo Sheremeta, aveva annunciato le proprie dimissioni dicendosi stufo dei continui attacchi dei suoi colleghi, che più volte lo hanno accusato di essere troppo lento nell’applicazione delle misure ‘chieste’ dal Fmi per la concessione di un vitale prestito. Poche settimane prima il titolare delle Finanze di Kiev, Aleksandr Shlapak, avvisava che entro la fine dell’anno il PIL del Paese diminuirà almeno del 6,5% e il tasso d’inflazione raggiungerà il 19% mentre la grivna, la moneta locale, continua a perdere valore. Per non parlare della disoccupazione che neanche viene più conteggiata, mascherata per ora dall'impiego di un gran numero di senza lavoro nei battaglioni punitivi inviati a martellare le regioni ribelli.
E’ per questo che il regime ha fretta di stroncare la resistenza delle Repubbliche Popolari e non esita ad utilizzare bombardamenti indiscriminati e a criminalizzare l’intera popolazione del Donbass. Nella sua recente visita a Kiev la cancelliera tedesca ha promesso lo stanziamento di 500 milioni di euro per la ‘ricostruzione’ di Donetsk e Lugansk, soldi che arriveranno chi sa quando e comunque non certo senza contropartite.
E’ in questo catastrofico contesto che si inserisce il possibile incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e Poroshenko, oggi, a margine del summit di Minsk tra Ue-Ucraina-Unione doganale (Russia-Bielorussia-Kazakhstan). Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha detto ieri di "non escludere" che oggi i due capi di stato si vedano in Bielorussia ma l’apertura nelle ultime ore di un secondo fronte militare nel Donbass da parte della guerriglia – con il sostegno di Mosca – potrebbe far saltare tutto.
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