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20/08/2014

Monaco: Linux costa più di Windows, addio open source

Dopo dieci anni di Linux Monaco di Baviera getta la spugna e torna a Windows. Era stata tra le prime città a decidere di affidarsi a Linux, affrontando le molte difficoltà iniziali pur di liberarsi dai vincoli con Microsoft e altri fornitori. E proprio l'anno scorso si era completato il passaggio: tutti gli uffici pubblici usavano LiMux, una distribuzione sviluppata apposta.

Si torna a Windows perché a quanto pare non si è riusciti a compensare l'iniziale abbassamento della produttività. All'inizio si pensava che sarebbe bastato un po' di tempo, che le persone si sarebbero abituate ai nuovi strumenti e che presto tutto avrebbe ripreso a funzionare come sempre.

L'adattamento c'è stato in effetti ma sono rimasti problemi insormontabili nell'interazione con altre realtà (fornitori, altri comuni, governo, etc.): in questi casi lo scambio di documenti non ha mai smesso di essere un problema.

C'è stato anche un problema economico, ed è emerso che Linux è risultato più costoso di Windows da gestire "perché la città ha dovuto assumere programmatori per sviluppare funzioni di cui avevano bisogno, e poi ha dovuto pagare il personale per mantenere il software". Pagando le licenze a Microsoft si sarebbe speso meno, a quanto pare.

Collaborazione con altri e riduzione della spesa, ecco perché Monaco di Baviera sta tornando a Windows. La scelta di questa città, dieci anni fa, fu definita l'equivalente IT della caduta del Muro di Berlino. Non è ancora detta l'ultima parola comunque, perché, con la nuova versione di LiMux e una più forte spinta verso il formato ODF, forse c'è ancora spazio per l'open source nella città tedesca.

In ogni caso è importante ricordare che la questione economica non è mai stata determinante. All'epoca, tra il 2003 e il 2004, i politici locali scelsero di seguire una strada che avrebbe dato a loro il controllo sulla tecnologia usata, invece che a fornitori esterni come Microsoft. Decisero in altre parole di mantenere nelle proprie mani una parte di potere che era sempre stata "esternalizzata". Fu in altre parole una questione più politica che economica.

Fonte

Se venisse confermata, la notizia si rivelerebbe decisamente in controtendenza con quanto ogni amministrazione dovrebbe fare soprattutto dopo lo scoppio e il perdurare dello scandalo datagate.
Ciò che infatti sfugge, anche ai commentatori di settore (leggere le opinioni in calce alla notizia sul portale di Tom's Hardware per credere), è che la disputa tra software libero e chiuso è solo in minima parte una questione meramente economica. 

La scelta del software libero, infatti, è prevalentemente politica, strategica ed economica.

Politica e strategica perché, ogni amministrazione (pubblica e privata) che si rispetti - mossa da un basilare buonsenso - dovrebbe anteporre ai costi la gestione completa e totale dei sistemi con cui genera e amministra i propri dati, pena un'effettiva (anche se non percepita) sudditanza nei confronti di chi detiene la proprietà intellettuale dei sistemi informativi sui cui ci si appoggia.
Economica perché a differenza del software chiuso che genera indotto soltanto per le poche multinazionali anglosassoni che ne hanno - quasi - il monopolio, il software libero consente di creare un indotto "locale" del tutto slegato dai contesti operativi della Microsoft o Apple di turno.

La criticità in tutto questo discorso sta nel fatto che una "rivoluzione" di simile portata dovrebbe quando meno essere gestita a livello nazionale, da una classe politica conscia delle criticità e potenzialità insite nell'informatizzazione di massa con software libero e tutto ciò che ne consegue - a partire dal livello culturale nei confronti della materia -.

Al momento utopia, anche nella sempre (troppo) lodata terra tedesca.

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