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01/09/2014

Palestina - Le accuse di Abbas a Hamas: “Bagno di sangue inutile”

Forse alla Muqata, il palazzo presidenziale di Ramallah, non arrivano le voci della strada. Forse la distanza tra la gente e il governo è troppo ampia per permettere ai vertici di cogliere le pressioni che arrivano dalla base. Dopo due mesi di quasi totale assenza sulla scena pubblica, con pochi interventi che non hanno certo soddisfatto un popolo che si sentiva tutto sotto attacco, il presidente dell’Autorità Palestinese Abbas punta il dito contro Hamas, ripetendo lo stesso mantra che per 50 gioni ha riempito le bocche dei politici israeliani. La colpa della strage di Gaza è anche di Hamas: “Era possibile evitare tutto quello, duemila martiri, 10mila feriti, 50mila case distrutte o danneggiate”.

Allo stesso tempo, durante un’intervista, dopo aver ricordato che il premier Netanyahu aveva dato il suo assenso ad uno Stato di Palestina entro i confini del 1967 e chiesto a Israele di definire una volta per tutte i confini, si è rivolto di nuovo contro Hamas, accusandolo di aver mantenuto un “governo parallelo” a Gaza: l’esistenza di un esecutivo ombra, ha detto Abbas, minaccia il governo di unità nazionale formato a maggio. Fratture interne che sarebbero venute a galla anche nell’incontro tra Meshaal e Abbas a Doha nei giorni scorsi: come riportava ieri sul Manifesto Michele Giorgio, Hamas sarebbe stato a conoscenza di un presunto colpo di Stato contro Abbas ordito da una parte dei leader di Fatah (tra cui l’ex premier Fayyad e il leader dell’Olp Abed Rabbo). Secondo un giornale kuwatiano, la fronda dentro il partito si oppone al presidente considerato ormai un peso, distante dalla popolazione e ostacolo ai diritti nazionali palestinesi.
Le accuse di Abbas potrebbero non piacere alla popolazione che, dopo il calo di consensi verso il movimento islamista nell’anno appena trascorso, ha appoggiato quasi in toto la strategia della resistenza palestinese a Gaza. Le parole di Abbas sembrano andare controcorrente anche rispetto ai leader islamisti che ieri hanno ripetuto che la ricostruzione di Gaza sarà compito del nuovo governo di unità nazionale, formato da Hamas e Fatah. La riconciliazione non viene messa in dubbio, elemento questo che rappresenta un’ulteriore sconfitta per la macchina da guerra israeliana che con i massacri nella Striscia intendeva rompere l’alleanza tra le due fazioni rivali. ”Siamo uniti nella scelta di proseguire e ricostruire Gaza”, ha detto uno dei membri dell’ufficio politico di Hamas, Khalil al-Haya (che ha perso la moglie e tre figli), durante la preghiera del venerdì tra le rovine della moschea al-Morabetin, nel quartiere devastato di Shajaiye a Gaza City.
Servirà tempo e denaro per ricostruire la Striscia. L’Onu giovedì ha avvertito: se gli aiuti e i materiali da costruzione non entreranno a ritmo serrato, Gaza non sarà ricostruita prima di 10-15 anni. Ieri intanto il Palestinian Economic Council for Development and Reconstruction ha stimato in 40,4 milioni di dollari i danni ai siti religiosi. Durante i 50 giorni di offensiva israeliana, i raid militari hanno distrutto completamente 75 moschee, hanno gravemente danneggiato due chiese, dieci cimiteri e altre 205 moschee. Tra le moschee distrutte quella di al-Omari a Jabaliya, costruita nel 647 d.C. Il portico e il minareto risalivano invece al periodo mamelucco (Medio Evo).

E mentre i leader discutono, la popolazione di Gaza tenta di tornare alla normalità: i pescatori gazawi, tornati in mare nei giorni appena trascorsi, hanno detto di aver già notato dei miglioramenti nella quantità di pesci pescati grazie all’estensione del limite a 9 miglia nautiche a partire da oggi (12 tra un mese). Hanno trovato varietà di pesce, sardine, gamberetti, hanno raccontato all’agenzia stampa Ma’an news: “Certi pesci non li vedevamo più da tempo, costretti nelle tre miglia nautiche dalla costa”.

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