di Carlo Musilli
Da quando la
cura dell'austerità si è abbattuta sulla Grecia, ciclicamente,
sull'economia ellenica si raccontano verità stiracchiate, piegando i
numeri alle ragioni della convenienza politica. Il fenomeno si ripete
più o meno ogni volta che i Paesi dell'Eurozona pubblicano i dati
trimestrali sul prodotto interno lordo e si rafforza man mano che l'anno
volge al termine, permettendo di tirare le somme con un margine
d'errore minimo sull'andamento dei 12 mesi.
L'ultima volta è
accaduto alla fine della scorsa settimana, quando Atene ha fatto sapere
che il Pil greco del terzo trimestre è cresciuto dello 0,7% (la
variazione migliore fra quelle di tutti i membri dell'area euro), dopo
il +0,8 e il +0,3% registrati rispettivamente nel primo e nel secondo
trimestre. Su base annua, invece, il Pil greco è salito dell'1,4% fra
luglio e settembre e, secondo le ultime previsioni, nell'intero 2014 il
Paese dovrebbe mettere a segno una crescita dello 0,6%.
Questi
dati certificano che - dopo sei anni di contrazione - la Grecia è uscita
ufficialmente dalla recessione più lunga della storia moderna. A
livello tecnico si tratta di un'affermazione indiscutibile. I problemi
iniziano quando si stilano classifiche sulla base di questi dati. Sempre
nel terzo trimestre, infatti, Germania e Francia hanno fatto segnare
una crescita congiunturale più debole rispetto a quella di Atene,
rispettivamente dello 0,1 e dello 0,3% (con Berlino che ha evitato per
un soffio la recessione tecnica dopo il -0,1% del periodo
aprile-giugno), mentre l'Italia ha continuato a viaggiare in territorio
negativo, incassando una flessione del Pil pari allo 0,1% rispetto al
trimestre precedente e apprestandosi a chiudere l'anno con un rosso
dello 0,3%.
Alla luce di questi numeri, si è tentati di
dipingere la performance ellenica come una sorta di rivincita nei
confronti delle principali potenze economiche europee, se non
addirittura come una prova che la cura da cavallo imposta dalla Troika,
alla fine, si è rivelata efficace. Bisogna però ricordare che fra il
2008 e il 2013 la Grecia ha lasciato per strada il 24% del proprio Pil,
di gran lunga la contrazione più grave rispetto a quella accumulata in
qualsiasi altro Paese di Eurolandia.
Negli stessi anni i consumi
sono sprofondati del 26% e gli investimenti si sono ridotti di quasi
due terzi. Non solo: secondo un rapporto dei ricercatori delle
Università di Cambridge, Oxford e Londra pubblicato a inizio anno dalla
rivista medica britannica The Lancet, in Grecia la mortalità infantile
nei primi mesi di vita dei bambini è aumentata del 43% a seguito dei
tagli alla spesa pubblica e al dimezzamento del bilancio della Sanità
imposti da Unione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario
internazionale. Non è un caso che, in più di un'occasione, lo stesso Fmi
abbia riconosciuto la gravità degli errori commessi in Grecia.
Ora,
davanti a statistiche di questo tipo, è davvero il caso di festeggiare
per un +0,7% nel terzo trimestre? Le condizioni di vita nel Paese
restano lontane anni luce dai livelli pre-crisi, ma a qualcuno basta che
i conti pubblici siano considerati in ordine (anche se il debito
pubblico toccherà quest'anno il picco del 177% del Pil) e Atene abbia
raggiunto il primo surplus primario di bilancio da decenni.
In
questo scenario, il governo del conservatore Antonis Samaras punta
raccogliere nove miliardi di euro nel 2015 direttamente sul mercato dei
capitali, uscendo dal programma di assistenza dell'Fmi entro la fine del
2014, in anticipo rispetto alla tabella di marcia, che prevedeva la
conclusione degli aiuti nel 2016 (il programma di sostegno targato Ue
terminerà invece a fine anno).
Ma perché mai tanta fretta? La
spiegazione più verosimile è politica: Samaras vuole liberarsi del Fondo
monetario per interrompere le visite della Troika, riguadagnare
consensi e affrontare più serenamente le prossime sfide. A febbraio,
infatti, sarà costretto a trovare una maggioranza di 180 deputati per
eleggere il nuovo Presidente della Repubblica e un'eventuale crisi
potrebbe rendere inevitabili le elezioni anticipate. Un rischio che i
conservatori non sono disposti a correre in questo momento, visto che in
testa ai sondaggi c'è Syriza, partito di sinistra alternativa guidato
da Alexis Tsipras.
Se poi le previsioni finanziarie del governo
si rivelassero errate e la Grecia non fosse in grado di ottenere fiducia
e soldi dal mercato, niente paura, perché l'Esm (European Stability
Mechanism) ha già assicurato che accompagnerà l'uscita dai programmi di
aiuti con linee di credito precauzionali da attivare nel caso in cui il
Paese "avesse bisogno di maggiori fondi". Samaras dirà quindi addio alla
Troika, ma non agli aiuti internazionali.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento