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25/02/2015

Egitto - La lotta al terrorismo secondo al-Sisi

Una definizione piuttosto ampia di terrorismo e altrettanto ampi poteri alle autorità sono i principali ingredienti della legge anti-terrorismo promulgata ieri dal presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi.
È l’ultimo tassello della campagna contro il terrore portata avanti dal governo del Cairo anche a colpi di leggi liberticide approvate in assenza del Parlamento. Le due tornate elettorali per l’elezione dell’Assemblea si terranno il 21 marzo e il 7 maggio, salvo rinvii, e i temi della campagna elettorale sono la sicurezza e l’economia.

Questa norma anti-terrorismo era stata approvata dal governo lo scorso novembre e aveva suscitato le critiche delle organizzazioni per i diritti umani. Stringe ulteriormente la morsa intorno alla libertà di espressione, in un Paese in cui gli spazi per il confronto (spesso inteso dalle autorità come minaccia alla stabilità della nazione) sono ridotti al minimo da una serie di restrizioni volute dal presidente. La stampa è imbavagliata e anche le attività della Ong sono controllate. Inoltre, le libertà sono state limitate da leggi e decreti presidenziali, come la controversa legge sulle manifestazioni (è necessaria l’autorizzazione governativa), l’autorizzazione ad aprire il fuoco sui manifestanti (legge 107/2013), la giurisdizione militare su gran parte delle strutture pubbliche del Paese (università, centrali elettriche, ponti, ferrovie e tutte le proprietà dello Stato) la cui protezione è affidata alle Forze armate.

Con questa ultima norma, nel calderone dei “terroristi” entrano genericamente “entità e individui che minacciano l’unità nazionale” e alla polizia, artefice di abusi nei confronti di manifestanti e oppositori, sono accordati ampi poteri di repressione. I gruppi etichettati come terroristi vengono sciolti e i loro fondi bloccati, anche nel caso di individui. Per essere etichettati come terroristi è sufficiente bloccare il traffico o impedire lo svolgimento di una lezione all’Università, secondo la legge che in questo specifico caso sembra pensata per colpire i sostenitori del movimento fuorilegge dei Fratelli Musulmani che spesso organizza proteste nei campus universitari e blocca le strade.

Il procuratore generale dovrà creare una lista di “entità terroristiche” e di “terroristi” in cui finiranno gli individui, i gruppi e le organizzazioni riconosciute tali da una sentenza di una Corte. Andranno a rimpinguare la lista stilata negli ultimi due anni dai tribunali egiziana, in cui sono finiti prima di tutti i Fratelli Musulmani, seguiti dal gruppo islamista attivo nel Sinai Ansar Beit Al-Maqdis, lo Stato Islamico e il braccio armato del movimento palestinese Hamas, le Brigate Al Qassam.

Le carceri egiziane continueranno a riempirsi di attivisti, oppositori, esponenti di movimenti che finiranno nella lista nera. Il dissenso avrà sempre meno modi e spazi per esprimersi, secondo la politica perseguita da al Sisi che, per molti analisti, ha rimesso indietro le lancette dell’Egitto ai tempi di Mubarak. Una repressione iniziata con la strage (600 morti) di piazza Rabaa al Adaweya il 14 agosto 2013, poche settimane dopo il golpe militare del 3 luglio che ha messo fine alla presidenza del leader della Fratellanza Mohammed Morsi, primo capo di stato post-Mubarak adesso in carcere. Da allora ogni forma di dissenso è stata repressa in nome della stabilità, della sicurezza e della lotta al terrorismo e sono fioccate le leggi liberticide.

Nel mirino del regime egiziano sono finiti gli esponenti della Fratellanza, incarcerati a migliaia e a centinaia condannati a morte, e gli attivisti e gli oppositori che nel 2011 avevano fatto di piazza Tahrir, al Cairo, il cuore della cosiddetta primavera egiziana.

Dopo che al Sisi è stato consacrato alla guida del Paese con un voto plebiscitario (ma in assenza di reali rivali e con una scarsa affluenza) e alle parlamentari non sembra avrà rivali, è diventato l’uomo dell’Occidente. Un nuovo Mubarak, ha detto qualcuno. Un combattente contro il terrorismo sia in casa, nel turbolento Sinai, sia nella vicina Libia, dove di recente sono entrati in azione i caccia egiziani contro i terroristi.

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