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28/02/2015

Egitto - Bombe al Cairo: "colpiremo chi svende il Paese"

Uno dei negozi della Vodafone colpito ieri (Foto: Reuters/Mohamed Abd El Ghany)

Stavolta, dietro le esplosioni che ieri hanno colpito la capitale egiziana e provocato un morto, non ci sarebbe l’Isis né al Qaeda, Ansar al Sharia o Ansar Beit al-Maqdis. Insomma non ci sarebbero quei gruppi che stanno giustificando la lotta all’islamismo ingaggiata dal presidente al-Sisi e che gli garantiscono l’appoggio incondizionato dell’Occidente (ma soprattutto i due occhi chiusi sulle violazioni dei diritti umani in corso in Egitto).

Le esplosioni che ieri mattina hanno lasciato un morto e tre feriti e colpito un ristorante nel quartiere di Imbaba, una stazione di polizia in quello di Alwaraq e negozi di telefonia in quello di Mohandessen, sono state rivendicate da un gruppo sconosciuto, Il Movimento di Resistenza Popolare. Un attacco che alle autorità è apparso fin da subito ben coordinato. E preoccupante: gli attentatori sono stati in grado di agire nel cuore della capitale.

Apparentemente il gruppo non ha legami con altre organizzazioni islamiste o radicali che operano prevalentemente nella Penisola del Sinai, i cui attacchi hanno portato al sostegno militare e finanziario da parte degli Stati Uniti della crociata di al-Sisi. Secondo fonti locali, il Movimento di Resistenza Popolare avrebbe come obiettivo la conferenza programmata per il mese prossimo e che sarà la base per attirare nuovi investimenti esteri nel paese. Proprio per questo, dicono fonti della sicurezza, avrebbero avuto come target tre negozi della Vodafone e uno di Etisalat, compagnia degli Emirati Arabi, tra i maggiori sponsor del governo al-Sisi.

Dicono lo stesso i responsabili dell’attacco: su Fb il nuovo gruppo scrive di aver voluto colpire la Vodafone “in risposta alla partecipazione alla conferenza per svendere l’Egitto” e Etisalat “in risposta al contributo degli Emirati al colpo di Stato”. E promette nuove azioni contro “le forze criminali, gli assassini, i violatori di santità e i torturatori di bambini”. Il gruppo ha poi aggiunto di avere cellule attive nella provincia di Minya e a Giza, dove sono avvenuti gli ultimi attacchi.

Prosegue intanto la crociata del presidente al-Sisi contro la Fratellanza Musulmana: oggi 271 persone sono state rinviate a giudizio di fronte ad una corte militare con l’accusa di aver attaccato tribunali e la sede del procuratore nella provincia di Minya, nell’agosto del 2013. Gli attacchi seguirono alla distruzione di due campi di protesta di sostenitori del deposto presidente Morsi al Cairo e a Giza, durante la quale furono uccise 1.400 persone.

Dalla salita al potere del nuovo governo, il 3 luglio 2013, oltre 15mila sostenitori della Fratellanza sono stati imprigionati, un migliaio di loro condannati a morte. E per poter colpire meglio ogni voce critica il 24 febbraio l’esecutivo ha emanato una nuova legge anti-terrorismo, che amplia a dismisura i reati identificabili come tali, e stringe ulteriormente la morsa intorno alla libertà di espressione.

Nel calderone dei “terroristi” entrano genericamente “entità e individui che minacciano l’unità nazionale” e alla polizia, artefice di abusi nei confronti di manifestanti e oppositori, sono accordati ampi poteri di repressione. I gruppi etichettati come terroristi vengono sciolti e i loro fondi bloccati, anche nel caso di individui. Per essere etichettati come terroristi è sufficiente bloccare il traffico o impedire lo svolgimento di una lezione all’Università, secondo la legge che in questo specifico caso sembra pensata per colpire i sostenitori del movimento fuorilegge dei Fratelli Musulmani che spesso organizza proteste nei campus universitari e blocca le strade.

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