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20/02/2015

Yemen - Le opposizioni agli Houthi si accordano sotto l'ombrello ONU.

Lo Yemen anti-Houthi ha risposto oggi alle Nazioni Unite, che il 16 febbraio avevano adottato una risoluzione in Consiglio di Sicurezza che chiedeva l’immediato ritiro dei ribelli sciiti dalla capitale Sana’a e il rilascio del presidente Hadi, agli arresti domiciliari da oltre un mese. La risoluzione è stata criticata dai paesi del Golfo che la giudicano troppo debole e che premono per un intervento armato in Yemen per debellare la minaccia sciita e, indirettamente, il rafforzamento del nemico Iran nel paese.
 
Stamattina i partiti yemeniti si sono accordati per formare un consiglio popolare di transizione che sostenga il governo agli arresti a uscire dalla crisi politica. Lo ha annunciato il mediatore inviato dall’Onu, Jamal Benomar: “Non si tratta di un accordo finale, ma di un importante passo verso un accordo comprensivo”. L’accordo prevede che i membri del parlamento yemenita ufficialmente in carica, per lo più deputati del partito di governo, restino al loro posto  insieme alla Camera dei Deputati ad operare sia un consiglio di transizione a cui prendano parte anche settori della società prima non rappresentati: donne, giovani e yemeniti del sud, prima indipendente.

Dagli Houthi per ora non giungono commenti, mentre il paese è ormai preda di una vera e propria guerra civile. Una crisi figlia delle rivolte del 2011 che portarono tempo dopo alla caccia del trentennale dittatore Saleh, che oggi molto accostano ai ribelli sciiti. Inutili i negoziati tentati dall’Onu e in parte sostenuti dagli stessi Houthi: il partito di opposizione Islah, sunnita e tribale, ha optato per la chiusura, mentre le richieste Houthi di revisione della bozza di costituzione e di condivisione del potere non hanno trovato sbocchi concreti.

Fino alla presa del potere da parte degli sciiti che già da settembre controllavano gran parte della capitale: un mese fa gli Houthi hanno circondato le sedi del potere istituzionale a Sana’a, tra cui il palazzo presidenziale e messo agli arresti il presidente Hadi, in quello che i media hanno definito un colpo di Stato. Hanno poi sciolto il parlamento e formato un consiglio presidenziale che sostituisse Hadi e il premier Baha. Senza chiudere del tutto: gli sciiti hanno chiesto la creazione di un consiglio nazionale di 551 membri  e una commissione per la sicurezza, richiesta bocciata dalle fazioni meridionali che ancora sentono forte le spinte separatiste. Tanto da armarsi, forti del sostegno indiretto del Golfo, contro gli Houthi.

Lo scenario è quello di una guerra civile, che l’Arabia Saudita vuole scongiurare per garantire la propria influenza su Sana’a, premendo per un intervento militare nel paese più povero della penisola e il più infiltrato dalle milizie di al-Qaeda. Il paese è nel caos, con i qaedisti che ne approfittano per occupare la base della 19esima Brigata della fanteria e far razzia di armi e equipaggiamento militare. La secessione appare sempre più vicina, con l’esercito prossimo a dissolversi e parte di esso unitosi ai ribelli Houthi.

Il timore, spiegano diversi analisti arabi, è di uno scenario simile a quello iracheno e libico: paesi frammentati all’interno, tra potere costituito, tribù ribelli e gruppi sunniti estremisti. E un eventuale intervento militare del Consiglio di Cooperazione del Golfo o della Nato condurrebbe con estrema probabilità ad una divisione definitiva, di nuovo sulla scia dei modelli Libia e Iraq.

L’egiziano Medhat Al-Zahed scriveva ieri su Al-Ahram Weekly: “C’è ragione di credere che l’amministrazione Washington non sia disturbata dall’ascesa degli Houthi al potere e che accetti il percorso intrapreso dallo Yemen nell’ambito del più vasto piano per un nuovo Medio Oriente dove i paesi siano divisi in componenti tribali, primitive, etniche, religiose, settarie e dottrinali. Un ‘caos creativo’, foraggiato da elementi interni di debolezza sostenuti dall’esterno. È attraente perché è un’alternativa migliore alle rivoluzioni e perché trasforma la centrale battaglia contro l’ingiustizia, l’egemonia e la tirannia in un conflitto settoriale di società che tornano alle identità primitive”.

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