“Venditori di fumo” di Giuliano Pavone, giovane giornalista e scrittore tarantino, è un libro estremamente attuale, che parla di questioni legate alla tutela ambientale e alla salute delle persone.
Potagonista è l'Ilva di Taranto, ma anche la città con i suoi abitanti di cui l'autore regala un affresco a tratti poetico e suggestivo. Il tutto incorniciato da una riflessione sui problemi che svelano molti dei nodi critici dell'Italia di oggi: la sudditanza della politica ai poteri forti dell'economia e dell'industria, la passività generale dell'opinione pubblica, l'omertà colpevole dei media che nascondono i temi scottanti o li stravolgono a vantaggio di pochi.
Lo scrittore narra l'industrializzazione di Taranto, dalla costruzione alla fine del 1800 dell'Arsenale Militare Marittimo, fino alla statale Italsider, svenduta per pochi soldi alla famiglia Riva nel 1995 e divenuta Ilva. La città si vede imposta la monocultura dell'acciaio. Questo termine è estremamente significativo; il prefisso “mono” indica una unicità economica che si impone su altre produzioni (mitilicoltura, agricoltura e tessile) ma nello stesso la parola “cultura” non attiene soltanto all'ambito economico ma anche al modo di pensare dei tarantini; non ci sono alternative alla fabbrica e l'esistenza dell'intera comunità vi è strettamente legata. Anche per questo motivo, l'opinione pubblica cittadina non ha voluto vedere, per lungo tempo, la morte che la fabbrica spargeva su Taranto, stretta anche nella morsa del ricatto occupazionale.
Nel luglio 2012 il Gip di Taranto dispone il sequestro degli impianti dell'area a caldo dell'Ilva e nel 2013 blocca i beni del Gruppo Riva. Non è un fulmine a ciel sereno. Il provvedimento arriva dopo anni di inchieste e condanne legate prima all'amianto poi al mobbing che avevano subito alcuni operai; infine dal 2000 parte la prima vera vertenza ambientale con avvisi di garanzia ai Riva. Nello stesso tempo, si avviano gli accordi fra la politica e l'azienda per le riduzioni degli agenti inquinanti; accordi che vanno avanti negli anni fino a oggi; accordi puntualmente disattesi dai proprietari dell'Ilva sicuri del pronto-soccorso della politica che chiude entrambi gli occhi dinanzi al disastro ambientale e che è prodiga di leggi salva-Ilva; anziché pretendere l'abbattimento delle emissioni pericolose e il risanamento della fabbrica come chiesto dal tribunale, la legge abbassa i limiti degli inquinanti, li elimina, proroga i tempi della messa a norma degli impianti. Non contenta di questo, dal 2012 prima il governo Monti, poi Letta intervengono più volte a gamba tesa nel lavoro della magistratura per neutralizzarne l'operato. D'altronde i Riva sono buoni amici del governo italiano, soprattutto dopo aver partecipato al "salvataggio" di Alitalia.
Parallelamente, attraverso l'inchiesta “Ambiente svenduto” si scoprono universi paralleli alla fabbrica, elementi di complicità e omissioni in cui viene coinvolta la politica pugliese fino ai suoi vertici, i giornali, le forze dell'ordine e finanche un esponente del clero locale. I Riva in qualche modo pagavano tutti; e nel frattempo trasferivano illegalmente denaro all'estero mentre continuavano ad ammazzare Taranto.
I media nazionali, costretti ad occuparsi dell'Ilva, presentano la vicenda come un aut aut tra salute e lavoro. Il libro di Giuliano Pavone ci racconta invece un'altra storia: l'imperativo è sempre stato continuare a produrre acciaio; una produzione che non poteva e non può essere interrotta, non certo per tutelare posti di lavoro, ma su richiesta specifica delle banche troppo esposte con l'azienda per rischiare una chiusura.
Allora la colpa delle malattie e dei morti viene addirittura accreditata alle sigarette di contrabbando che i cattivi tarantini continuano a fumare, nonostante siano illegali. L'Ilva invece può continuare a inquinare “legalmente” col beneplacito di tutti.
Oggi a Taranto qualcosa si muove. Tante associazioni e cittadini facendo a meno della politica e dei sindacati confederali, hanno deciso di reagire. I morti sono di tutti, la morte coinvolge tutti. Il lavoro e la salute non sono opzioni antitetiche, sono diritti.
E' anche grazie ai tarantini se i “Venditori di fumo” sono stati smascherati: non solo padron Riva, ma anche coloro che disinformando e tacendo la realtà, hanno permesso al fumo dell'Ilva di uccidere.
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