24/02/2015
Come si sta ristrutturando il centro destra?
Per capire come si sta riarticolando il sistema politico, il primo problema che dobbiamo risolvere è quale sia il potenziale di crescita della Lega e quanto possa aggregare intorno a se. In altri termini: quanto è fondato il sogno di Salvini di conquistare la leadership di una destra capace di sfidare credibilmente il Pd renziano?
Come si sa, la Lega sta attraversando una nuova fase di dinamismo organizzativo ed elettorale, dopo la stagione di declino bossiano. Essa è un partito che ha spesso alternato fasi di fortuna a fasi di declino: al suo sorgere ebbe una stagione di veloci affermazioni che durò sino al 1996, quando superò l’11%, poi, dopo il 1998 ci fu un forte calo che portò la Lega al 3,9% nelle politiche del 2001. Dopo, durante il governo Berlusconi II di cui la Lega faceva parte, ci fu un lento recupero nelle europee del 2004 e nelle regionali dell’anno seguente, ma alle politiche del 2006 arretrò nuovamente al 4,6%.
Nelle politiche anticipate del 2008, la Lega balzò all’8,3% ed ottenne risultati migliori nelle europee del 2009 e nelle regionali del 2010 arrivando a sfiorare di nuovo il 10%.
Ma, nuovamente, nelle politiche del 2013 ripiombava al 4,1% a seguito dei ripetuti scandali che avevano investito la famiglia Bossi.
Ora, con la gestione Salvini, la Lega è tornata a crescere già nelle europee del 2014 dove otteneva il 6,1% e successivamente otteneva buone affermazioni nelle elezioni amministrative dello stesso anno.
Oggi i sondaggi danno la Lega fra l’11 ed il 13%, oltre il massimo storico del 1996. Come si vede, la Lega ha avuto notevoli alti e bassi, ed ha resistito anche a momenti in cui sembrava essere condannata alla dissoluzione, dimostrando notevoli capacità di recupero. Osservando meglio i suoi risultati si ricava che, nonostante i ripetuti cali, la Lega ha sempre riconfermato la struttura territoriale del suo elettorato: massimo risultato in Veneto ed in Lombardia orientale ed alpina, discreto insediamento in Piemonte, poi risultati intorno al 3% in Emilia (salvo l’ultima occasione) e decisamente meno nel resto delle regioni. Neppure l’alleanza con il Partito Sardo d’Azione ha portato alla Lega risultati molto alti in Sardegna. Insomma, La Lega, sin qui è un partito locale annidato fra Veneto e Lombardia orientale, con qualche risultato significativo nel resto della Lombardia ed in Piemonte. Soprattutto da Roma in giù non raccoglie che percentuali infinitesimali. In effetti, i sondaggi, almeno per ora, promettono alla Lega poco più del suo massimo storico, il che può indicare una crescita di circa due punti in modo più o meno diffuso.
Oggi la Lega cerca di mutare il suo profilo da partito regionale in partito nazionale, sulle orme del Fn di Marine Le Pen, lasciando cadere le vecchie parole d’ordine secessioniste a favore del trio No euro, no Tasse, No immigrati e su questo cerca di sfondare al sud.
In ottobre venne pubblicato un interessante sondaggio che considerava non solo gli elettori che dichiaravano un voto certo ad ogni singolo partito, ma anche quelli che semplicemente prendevano in considerazione di poter votare per uno o più partiti. In altri termini, un calcolo degli elettori potenziali la cui somma generale eccede ovviamente il 100%, perché molti elettori dichiarano di prendere in considerazione più di un partito. Naturalmente, nessun partito consegue mai il 100% del suo bacino potenziale perché, inevitabilmente, una parte degli elettori più o meno ampia di esso, finisce per preferire un altro partito. Il sondaggio calcola percentualmente le dichiarazioni di voto e le pondera sul totale degli elettori in cifra assoluta, ovviamente considerando anche le dichiarazioni dei potenziali astenuti. Ebbene, la Lega, che alle elezioni europee di qualche mese prima aveva ottenuto 1.690.000 voti era accreditata dal sondaggio di 1.740.000 voti di elettori che dichiaravano che l’avrebbero votata con certezza che, sommati a quanto dicevano di prendere in considerazione di votarla, la portavano ad un bacino complessivo di 5.640.000 elettori su un totale di 62.100.000 elettori potenziali di tutti i partiti (detratti astenuti e bianche). Dunque il 9% circa. In effetti, i risultati delle amministrative successive hanno indicato una tendenza tanto ad ampliare il bacino del voto potenziale, quanto a massimizzare la raccolta di voto effettivo. Normalmente, un partito, anche nei casi più favorevoli, non va molto oltre il 60% del suo bacino potenziale, nel nostro caso ipotizziamo che la Lega possa trasformare gran parte del suo bacino potenziale, sino a raccogliere il 75%-80% del totale, raggiungendo circa i 4.200.000-4.600.000 voti, su un totale di 30 milioni di voti validi espressi (un valore prossimo a quello delle europee di maggio scorso), si ricava una percentuale del 14%-14,5% che è di poco superiore a quella dei sondaggi più favorevoli.
Può andare molto oltre questa soglia? Esistono anche un elettorato di “strascico” (quegli elettori calamitati dal soggetto vincente che si aggiungono strada facendo) ed un elettorato “di occasione” (quello di chi decide all’ultimo momento per un evento fortuito: la morte di Berlinguer che premiò il Pci nel 1984, lo scandalo Mps che arrotondò il risultato del M5s nel 2013 ecc.), la cui somma, in talune occasioni, può portare un partito oltre i sondaggi e persino oltre la soglia dell’elettorato potenziale, ma si tratta di casi molto rari e, comunque di porzioni molto limitate di elettori.
In casi più unici che rari può accadere che il meccanismo del “voto utile” trascini un partito molto oltre la soglia iniziale: nel 1994 Forza Italia polverizzò la vecchia Dc, balzando di colpo al 21% (contro previsioni iniziali che la davano all’8-10%), ma si trattava di una situazione del tutto eccezionale: i partiti tradizionali (Dc, Psdi e Psi soprattutto) erano travolti dagli scandali e scompaginati, si votava con un sistema elettorale nuovo che eliminava il voto di preferenza (in cui eccellevano Dc, Psi e Psdi), lo sfidante godeva del vantaggio di tre reti televisive che martellavano in continuazione sondaggi che davano la Dc in via di affondamento ed il “polo” con Lega ed An in costante crescita, per cui si innescò un processo di “previsione che si autoinvera”. Gli elettori moderati si convinsero che il “voto utile” per sconfiggere la sinistra era quello al polo di destra e non a quello di centro che rapidamente si svuotò.
Però, occorre considerare che Fi era alleata alla Lega ed An, che otterranno complessivamente il 21%, ma che già erano accreditate di circa il 15%, per cui, con Fi, il Polo era uno sfidante credibile collocato intorno al 25% di partenza, mentre lo schieramento di centro partiva già sotto questa soglia. Sondaggi e televisioni fecero il resto.
Come si vede, una combinazione di fattori difficilmente ripetibile. Vediamo ora quali sono le possibilità di “sfondamento” della Lega, immaginando di votare con l’Italicum (con il proporzionale non avrebbe alcuna speranza). Questo significa che la Lega, per vincere, deve superare tre soglie:
a. comparire sin dall’inizio come lo sfidante più credibile di Renzi
b. collocarsi al secondo posto, in modo da accedere al ballottaggio
c. conquistare la maggioranza al secondo turno
L’Italicum non prevede coalizioni, ma il confronto fra liste, per cui la Lega, che per ora ha come solo alleato Fdi (2-3% stimato) cui, forse, potrebbe aggiungersi Fitto (2-4% stimato), potrebbe incrementare i suoi voti immettendo nelle sue liste i candidati di queste due formazioni che, in teoria, potrebbero portare in dote un 4-7% che, sommato a quel 14%, potrebbero spingere la Lega intorno al 20%, sempre che le stime siano esatte. Ed, in questo caso la battaglia sarebbe fra Lega e M5s per chi arriva al ballottaggio. Però, il M5s, per quanto dotato di un elettorato composito, sinora ha preso i voti su sé stesso, senza alcun alleato, mentre la Lega dovrebbe fare affidamento su due altri partiti. L’esperienza costante insegna che le liste comuni non totalizzano mai la somma teorica delle liste distinte e, per di più, Fdi e fittiani perderebbero ogni visibilità in quella che, a tutti gli effetti, sarebbe la lista della Lega, punto e basta. Per cui sembra difficile che, nella migliore delle ipotesi, il loro apporto possa superare il 3% complessivo.
Dunque, il “tetto” della Lega sarebbe il 17%: un po’ poco per competere con il M5s per il secondo posto. Infatti il 17,5% è il punto più basso dei sondaggi sul M5s, che spesso superano ancora il 20%. Peraltro, c’è da considerare l’effetto “voto utile” (ai fini del secondo turno) anche a favore del M5s che pesca voti un po’ dappertutto e che, in particolare, si eserciterebbe sull’area Sel-Rifondazione. Dunque, difficilmente la Lega potrà superare questo gradino senza una robusta avanzata sulle proprie liste. Ma la Lega ha due limiti formidabili: è troppo legata alla sua origine localista ed è troppo periferica rispetto all’asse centrale del sistema. Alle regionali verificheremo se ancora è così, ma, sin qui, la Lega a sud dell’appennino tosco emiliano non ha mai raccolto più dell’1% in media e non sembra che le puntate di Salvini a Napoli e Palermo abbiano avuto alcun particolare successo. Pur considerando l’apporto di un po’ di amministratori locali di Forza Italia che stanno passando alla Lega in queste settimane, sembra piuttosto difficile che potrà superare un 3% medio in quelle regioni. E’ vero che il Fn ebbe a lungo le sue roccaforti a Marsiglia e nel Midì, ma per sfondare a Parigi e nelle altre città del nord, ci ha messo più di dieci anni, mentre la Lega sta iniziando solo ora la sua conversione in partito nazionale. Questo significa che, per superare la soglia del 20% nazionale, utile a competere per il secondo posto, la Lega dovrebbe prendere circa il 38-39% nelle tre grandi regioni del nord (Piemonte, Veneto e Lombardia) e circa il 20% in Emilia. E qui scatta il secondo limite della Lega che è percepita come partito troppo “estremista” da una buona parte dell’elettorato moderato che vota Fi, Ncd, Udc ecc. Buona parte di questo elettorato è poco sensibile (o è addirittura ostile) al tema del no euro, limitatamente sensibile al tema no immigrati e molto sensibile al tema della lotta al fisco.
Per cui la Lega si trova due limiti: sul no euro deve dividersi i consensi con il M5s che vanta una primogenitura in questo senso ed è partito nazionale, sul tema del no fisco deve vedersela con una eventuale aggregazione fra i resti di Fi e Ncd. In questo secondo caso è la Lega ad essere avvantaggiata.
In ogni caso, difficilmente la maggioranza del vecchio elettorato del Pdl scivolerà verso la Lega, perché una parte (piccola in verità) resterà con Berlusconi e Alfano, una parte è già andata all’astensione e, soprattutto, un’altra parte ha già scelto Renzi che presenta un rassicurante profilo di centro destra. Dunque, già dai sondaggi la Lega difficilmente emergerebbe come sfidante credibile del Pd e, pertanto, è poco probabile che possa contare sull’effetto trascinamento del voto utile. Di conseguenza, appare scarsamente credibile che possa conseguire il secondo posto ed andare al ballottaggio.
Vero è che la Lega potrebbe aspirare ad un secondo posto per collasso del M5s (possibile), ma se la Lega non prende almeno il 19-20% questo significa che il M5s deve scendere intorno al 17-18%, il polo berlusconiano difficilmente supererà il 12%, il polo di Sel il 3-5% e gli altri si divideranno il solito 5% residuale, e questo significa che, per differenza, il Pd supera il 40%, per cui non c’è ballottaggio e vince al primo turno.
Dunque già il primo gradino sembra molto in bilico, a meno di una lista comune con il Cavaliere, ma ve lo vedete Berlusconi (sempre che sia candidabile) entrare in una lista della Lega con Salvini candidato Premier? E quanti dei suoi lo seguirebbero?
Se poi giungesse anche al secondo turno con uno stacco di 14-15 punti dal Pd, dovrebbe recuperare circa i due terzi dei voti dei partiti esclusi per poter battere il Pd. Ma è largamente probabile che la maggioranza di questi elettori (ed in particolare del M5s) piuttosto si astengano.
Decisamente, la Lega di oggi è abbastanza forte da impedire che emerga un altro polo di centro destra, ma troppo poco per poter sfidare credibilmente il Pd e questo sarà vero ancora per alcuni anni.
La destra, per rifondarsi deve cercare altro da Salvini e Berlusconi e deve guardarsi dall’invasione a destra di Renzi.
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