Manca poco più di un mese all’adesione formale della Palestina alla
Corte Penale Internazionale e continuano a circolare indiscrezioni sulle
intenzioni dei leader dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) e
dell’Olp di chiedere alla procura internazionale l’avvio di una indagine
contro Israele per crimini di guerra. Una possibilità reale ma non
scontata.
Invece qualcosa di decisamente concreto dal punto di vista legale sta avvenendo proprio contro l’Anp.
Un processo in corso a Manhattan, presso la Corte Federale di New York
presieduta dal giudice George B. Daniels, vede sul banco degli imputati
proprio la leadership palestinese e i suoi apparati di sicurezza.
L’accusa è quella di aver
agevolato «atti di terrorismo» che hanno coinvolto cittadini
statunitensi in visita o residenti in Israele durante il 2001-2004, gli
anni più critici della seconda Intifada. Il processo potrebbe
concludersi con una condanna a pagare risarcimenti per almeno un
miliardo di dollari alle famiglie delle vittime.
In gioco però è anche l’immagine dei
leader palestinesi nel momento in cui si preparano, o preparerebbero, a
chiedere l’incriminazione di Israele per crimini di guerra. Un aspetto
questo sottolineato parecchio dai media israeliani.
Da parte loro i palestinesi sostengono
che il processo in corso a New York ha un contenuto politico, volto a
punire i dirigenti dell’Anp per i passi che hanno fatto negli ultimi 2-3
anni contro Israele nelle sedi internazionali. Le parti civili
attraverso l’associazione legale israeliana Shurat Hadin e l’assistenza
di super avvocato come Kent Yalowitz, del celebre studio legale «Arnold
& Porter», non puntano l’indice contro le organizzazioni armate ma
contro l’Anp.
Affermano che numerosi dipendenti
dell’amministrazione palestinese tra cui poliziotti e comandanti delle
forze di sicurezza, sono stati arrestati e condannati da Israele per
aver organizzato e perpetrato attentati in cui sono rimasti uccisi o
feriti anche cittadini americani. Si tratta di un punto fondamentale. Il giudice Daniels infatti ha ammesso come legittime le prove raccolte dai servizi segreti e dalla procura militare di Israele.
A nulla sono valse le obiezioni della
difesa. I palestinesi sottolineano che si tratta di prove prodotte da
una parte coinvolta nel conflitto e, pertanto, non possono essere
considerate «obiettive». La legge israeliana, aggiungono, definisce
«terrorismo» reati che in altri Paesi sono ritenuti di lieve gravità. Ad
esempio il lancio di pietre da parte dei palestinesi alle automobili
dei coloni in Cisgiordania è giudicato come un atto di terrorismo e
punito con molta severità in Israele.
Con il susseguirsi delle udienze
l’Anp ha avuto modo di constatare l’aggravarsi della sua posizione di
fronte ai giudici americani e che quello che appariva come un processo
«simbolico» rischia di trasformarsi in una catastrofe legale oltre che
finanziaria.
E non mancano le polemiche. Alcuni
palestinesi ora contestano la decisione presa dai vertici dell’Anp di
partecipare al processo. Altri protestano per la linea «umiliante»
adottata dall’avvocato difensore, Mark Rochon, volta a dimostrare
l’impossibilità per i servizi di sicurezza dell’Anp di impedire gli
attentati.
A testimoniare a New York sono stati
inviati Majid Faraj, comandante dell’intelligence generale dell’Anp e
responsabile dal 2009 della cooperazione di sicurezza con Israele, e
l’ex ministro dell’alta istruzione e attuale membro del Comitato
Esecutivo dell’Olp, Hanan Ashrawi.
Il primo ha riferito che Israele aveva annientato le forze di sicurezza palestinesi rendendo impossibile qualsiasi attività preventiva, la seconda ha riferito che Ramallah, sede principale dell’Anp, tra il 2001 e il 2004 era stata occupata dall’esercito israeliano e che lo scomparso presidente Yasser Arafat era confinato nel suo ufficio semidistrutto.
AGGIORNAMENTO 24 febbraio 2015 ore 17:00
La corte federale di New York ha stabilito ieri che
le autorità palestinesi dovranno pagare 218 milioni di dollari di danni
alle vittime e a i feriti americani di sei attentati compiuti in
Israele tra il 2002 e il 2004.
La giuria ha
giudicato colpevoli l’Autorità palestinese (Ap) e l’Organizzazione per
la Liberazione della Palestina (Olp) di 25 differenti capi d’accusa.
Secondo la corte statunitense, sia Olp che Ap hanno sostenuto gli
attentati compiuti dai membri del movimento islamico Hamas e delle
Brigate dei martiri al-Aqsa (braccio armato del partito Fatah allora
diretto da Yaser Arafat).
La cifra da
pagare sarà nei fatti molto più alta di 218 milioni di dollari: secondo
la legge anti-terrorismo statunitense, infatti, i danni sono
automaticamente triplicati. Ciò vuol dire che la somma da versare sarà
di 650 milioni di dollari. Una condanna pesante, dunque, che
potrebbe far collassare l’Ap già in grosse difficoltà economiche a causa
del “congelamento” delle rendite fiscali deciso da Israele dopo che
Ramallah ha chiesto di aderire alla Corte Penale Internazionale. Una
somma, tuttavia, inferiore al miliardo di dollari chiesta dall’accusa
quando il processo si è aperto lo scorso gennaio.
Dura la reazione dei
palestinesi. Mahmoud Khalifa, vice ministro dell’Informazione
dell’Autorità Palestinese, ha dichiarato che sia l’Olp che l’Ap sono
“profondamente deluse” dalla decisione della corte di New York e ha
definito le accuse “prive di fondamento”. L’Autorità palestinese – ha
dichiarato Khalifa – farà appello alla sentenza. “Siamo sicuri di
vincere. Confidiamo nel sistema giudiziario statunitense” ha poi
aggiunto.
Israele ha accolto con favore la sentenza definendola una “vittoria morale”.
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