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24/02/2015

La banalità del male in Iraq e Siria

di Roberto Prinzi

Almeno novanta cristiani assiri sarebbero stati rapiti stamattina dai miliziani dello Stato Islamico (Is). A rivelarlo è l’Osservatorio Siriano per i diritti umani, Ong di stanza a Londra e vicina all’opposizione al regime di Damasco. I rapimenti sarebbero avvenuti in due villaggi assiri situati vicino a Tel Tamr nella provincia di Hassakeh, il cui controllo è conteso tra le forze curde e gli uomini dell’autoproclamato califfo al-Baghdadi. Al momento la notizia non è verificabile.

Secondo alcuni analisti, il rapimento (eventuale) di stamane potrebbe essere una risposta dei jihadisti ai recenti successi militari compiuti dalle forze curde. Le unità di protezione del popolo curde nelle loro sezioni maschili (YPG) e femminili (YPJ) da giorni provano a guadagnare terreno nelle aree vicine a Kobane e nella provincia stessa di Hasakeh. I curdi hanno già conquistato 24 villaggi e starebbero provando a prendere il controllo della cittadina di Tal Hamis (e delle zone limitrofe) situata a est dei villaggi occupati oggi dall’Is. L’offensiva curda prosegue, inoltre, anche nella provincia di Raqqa (la “capitale” siriana dello Stato Islamico) dove sono stati riconquistati 19 villaggi. Tuttavia, proprio questi successi potrebbero far temere il peggio per i cristiani rapiti che potrebbero “pagare” con la vita la vendetta degli uomini di al-Baghdadi.

Ma in Siria a destare le preoccupazioni della comunità internazionale non sono solo i miliziani jihadisti. Un rapporto della ong statunitense Human Rights Watch (HMW) ha duramente attaccato il governo siriano perché ha compiuto “centinaia di attacchi indiscriminati lo scorso anno con armi anche improvvisate come le bombe al barile”. “I raid di Damasco – continua HMW – hanno avuto un impatto devastante sui civili uccidendo e ferendo migliaia di persone”. Ma secondo Human Rights Watch a salire sul banco degli imputati è anche il Consiglio di Sicurezza dell’Onu che “per un anno, non ha fatto nulla per fermare i raid aerei assassini di Bashar al-Asad sulle aree sotto il controllo dei ribelli” ha dichiarato Nadim Houry, vice direttore di HMW per il Medio Oriente e per il Nord Africa. Secondo l’organizzazione statunitense “la questione è se la Russia e la Cina alla fine permetteranno al Consiglio dell’Onu di imporre sanzioni per fermare l’uso delle bombe a barile”. Un resoconto, però parziale che non tiene conto dei crimini (non meno brutali) compiuti dai “ribelli”, definizione quanto mai vaga per definire la variegata e divisa opposizione al regime siriano.

La situazione umanitaria è gravissima anche nel confinante Iraq. Uno rapporto – pubblicato ieri e curato dalla Missione d’Assistenza delle Nazioni Unite per l’Iraq (UNAMI) e dall’Alto Commissariato dell’Onu per i Diritti umani – ha denunciato gli abusi commessi dai miliziani dello Stato Islamico. “Membri di diverse comunità religiose ed etniche del Paese, tra cui turkmeni, shabachi, cristiani, yazidi, sciiti, curdi e altri sono stati intenzionalmente e sistematicamente presi di mira dall’Is e da gruppi armati a essa affiliati – si legge nel documento – e sono stati oggetto di una grave violazione dei diritti [umani] in quella che appare una deliberata politica di distruzione, soppressione o espulsione di queste comunità dalle aree sotto il controllo dello Stato Islamico”. “Molte delle violazioni e degli abusi commessi dall’Is – aggiunge lo studio – possono essere considerati crimini di guerra contro l’umanità e forse anche genocidio”.

Ma se erano prevedibile le accuse allo Stato Islamico, meno scontata era la parte del rapporto in cui a essere duramente condannato è l’operato delle forze di sicurezza irachene (Isf) e dei gruppi armati ad esse alleati che hanno compiuto “uccisioni mirate, incluso quelle dei prigionieri dell’Is, rapimenti di civili e altri abusi”.

Dal punto di vista politico e militare, intanto, la Nuova Zelanda ha annunciato ieri che si unirà alla coalizione internazionale a guida statunitense contro lo Stato islamico. I soldati di Wellington non combatteranno, ha precisato il governo, ma si limiteranno ad addestrare l’esercito iracheno. Il premier John Key ha ribadito che i suoi militari (143) non saranno “in prima linea” nella battaglia contro i fondamentalisti islamici. La missione durerà due anni e dovrebbe iniziare a maggio.

La Nuova Zelanda si unisce all’Australia che ha già 600 soldati impegnati in Iraq e che, probabilmente, aumenterà il suo contingente militare a 900 unità nei prossimi mesi. Secondo l’Osservatorio siriano dei diritti umani, da quando sono iniziati i raid aerei della coalizione internazionale contro l’Is in Siria (23 settembre) sono stati 1.465 gli uomini di al-Baghdadi uccisi. Più di 1.000 le vittime tra i civili. I bombardamenti della coalizione proseguono senza sosta: negli due ultimi giorni sono stati 25 gli attacchi piovuti dal cielo contro le postazioni dell’Is. Tra le aree maggiormente colpite vi sono la provincia di Hasakeh, le aree vicine a Kobane (l’ormai celebre cittadina a confine con la Turchia) e Dayr az-Zour in Siria, Mosul, Kirkuk, al-Asad, ar-Rubtah e Tal Afar in Iraq.

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