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24/02/2015

Il Polo Islamico aumenta le spese militari


Gli Emirati Arabi Uniti stanno ospitando in questi giorni l’Idex, un grande evento biennale dell’industria militare che attrae venditori, compratori e analisti da tutto il Medio Oriente. Una vetrina dalla quale comprendere dove va un Polo Islamico che ormai rappresenta non solo una potenza economica ma anche una potenza militare impegnata in azioni belliche non solo all’interno della regione di competenza ma anche in altri teatri.

Il ruolo delle monarchie petrolifere diventa sempre più incisivo non limitandosi più a finanziare operazioni belliche messe in campo dalle potenze occidentali come in passato, ma partecipando attivamente, come nel caso dei bombardamenti di Eau e Bahrein contro l'Isis in Iraq e Siria e poi anche in Libia, o degli interventi militari dell’Arabia Saudita in Bahrein due anni fa.

Tra speculazioni di quanto effettivamente la fluttuazione dei prezzi petroliferi possa incidere sulle spese della difesa di paesi che hanno surplus in grado di assorbire eventuali deficit per almeno altri cinque anni (e che infatti le petromonarchie sopportano con l’obiettivo di danneggiare i propri concorrenti: Russia, Iran, Venezuela, Nigeria), la società di consulenza Jane stima che la regione definita Mena (Medio Oriente e Nord Africa) spenderà quest’anno oltre 132 miliardi di euro, il che equivale ad una crescita media del 10% per ogni anno dal 2012 in poi senza interruzioni.

Da parte sua la statunitense Avascent prevede invece che la spesa per il settore bellico in Medio Oriente aumenterà circa del cinque per cento fino al 2020. Se si disaggregano i dati ci si accorge immediatamente che gli squilibri tra le petromonarchie del golfo e il resto dei paesi arabi sia del Medio Oriente sia del Nord Africa sono enormi in fatto di spese militari. A ben guardare infatti sono e saranno i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo a spendere l’80% delle cifra globale.

Primeggia su tutti l'Arabia Saudita, settima lo scorso anno a livello mondiale con una spesa militare di ben 43 miliardi di euro; secondi si piazzano i piccoli Emirati Arabi Uniti che con 13,2 miliardi di euro di acquisti si sono classificati 15/mi a livello planetario, davanti a molti paesi occidentali.

Gli Emirati Arabi Uniti, così come la Giordania, sono tra quei paesi che hanno fatto il salto dagli acquisti alla produzione, investendo in un'industria militare nazionale al cui sviluppo la classe dirigente locale mira per svincolarsi dalla tradizionale dipendenza nei confronti degli Stati Uniti, oltre che per diventare fornitori di armi ai propri partner e alleati ed estendere la propria egemonia anche da questo punto di vista.

Gli Eau, presenti all’Idex con il più alto numero di aziende, ben 202, (secondi solo gli Usa con 163, terza la Gran Bretagna con 80) hanno creato già una industria integrata che comprende 11 imprese per un valore che sfiora i 3 miliardi di euro.

Da segnalare che tra i 150 espositori provenienti da 55 paesi diversi il ‘Padiglione Italia’ conta in totale 32 aziende, (la quarta presenza europea e la settima a livello mondiale) tra le quali Beretta, Piaggio Aerospace, Iveco, Fincantieri - già partner della joint-venture Etihad Ship Building - e Finmeccanica. Ad una delle aziende di sua proprietà, la Dsr Tecnologies, le monarchie del Golfo hanno chiesto una riprogrammazione degli ordini, riferisce il Gulf News, per far fronte alla caduta dei prezzi del greggio.

Ed a proposito di risorse energetiche sempre in questi giorni è in corso a Dubai il primo Vertice per il petrolio e il gas del bacino del Mar Rosso, dedicato alle opportunità di investimento, alle nuove esplorazioni e alla produzione energetica. Luogo di transito strategico tra Asia, Africa ed Europa, il tratto di coste tra il canale di Suez e il Golfo di Aqaba, é ricco di idrocarburi, indicano i rilevamenti, e presenta potenzialità non ancora adeguatamente valorizzate. L'Eritrea ad esempio, è stato segnalato alla due giorni di lavori, è uno dei paesi meno esplorati al mondo: negli ultimi 50 anni sono stati scavati solo 23 pozzi a fronte di una probabile consistente disponibilità di risorse energetiche da sfruttare. Al vertice, organizzato dalla Irn (International Research networks), sono stati presentati i quadri dei paesi partecipanti, tra cui Egitto, Sudan, Eritrea, Yemen, Saudi Arabia e Giordania.

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