Abd Rabbo Mansour Hadi è tornato. Da Sana'a, dove era stato messo agli
arresti domiciliari dai ribelli sciiti Houthi dopo la loro presa del
palazzo presidenziale lo scorso mese, il presidente yemenita è fuggito
ad Aden, capitale dell’ex Yemen del sud, la base dalla
quale punta a ricomporre il suo governo e riprendere così le redini del
suo mandato. Perché le dimissioni date a gennaio, quando nelle strade
della capitale occupata dai miliziani houthi infuriava la battaglia, non
sono mai state approvate dal Parlamento e così lui le ha ritirate.
La mossa del presidente yemenita è stata possibile grazie
all’unione dei partiti di opposizione (fedeli a Hadi) al nuovo governo
transitorio dichiarato dagli Houthi tre settimane fa, partiti capitanati
dalla formazione islamista al-Islah che sin dalla presa del
potere dei miliziani sciiti aveva chiuso la porta a qualunque
trattativa, nonostante le spinte in questo senso da parte delle Nazioni
Unite e dai ribelli stessi.
Dopo la risoluzione del Consiglio di Sicurezza che, oltre
all’immediato ritiro dei ribelli da Sana'a e al rilascio del presidente
Hadi chiedeva alle parti di sedersi insieme al tavolo del dialogo,
l’Onu ha infatti deciso di optare per il sostegno ai partiti yemeniti
di maggioranza, che si sono accordati qualche giorno fa per formare un
consiglio popolare di transizione che sostenga il governo agli arresti a
uscire dalla crisi politica. Lo ha annunciato il mediatore inviato dall’Onu, Jamal Benomar: “Non si tratta di un accordo finale, ma di un importante passo verso un accordo comprensivo”.
Alle richieste degli Houthi – dialogo con tutte le formazioni per
una revisione della bozza di Costituzione e per un’effettiva
condivisione del potere, ndr – quel “dialogo nazionale”
spalleggiato dall’Onu ha quindi risposto favorendo la nascita di un
governo parallelo, un “consiglio di transizione” che opererà al fianco
del Parlamento sciolto dagli Houthi due settimane fa. La novità
sta nella sua composizione, che includerà anche settori della società
prima non rappresentati: donne, giovani e yemeniti del sud, che pur
chiedendo sempre maggiore autonomia da Sana'a non ci stanno a sottostare
ai dettami della milizia sciita sul proprio futuro. Due capitali per due governi, quindi, in una soluzione che ricorda molto la Libia.
Ma la mossa di Hadi è stata possibile soprattutto grazie al
patrocinio degli emiri del Golfo, che subito dopo l’adozione della
risoluzione del Consiglio di Sicurezza – da loro giudicata troppo debole
– avevano annunciato di volersi organizzare autonomamente “per
mantenere la sicurezza e la stabilità regionale”. Oggi Abdullatif
al-Zayani, segretario generale del Consiglio di Cooperazione del Golfo, è
arrivato ad Aden per incontrare il presidente Hadi, che ieri aveva
avuto un meeting con i governatori di alcune province yemenite – tra cui
quelle del sud – giurando di avere il controllo su “quattro delle sei
regioni” che il suo governo vorrebbe trasformare in una
maxi-federazione.
Alla federazione proposta da Hadi, gli Houthi hanno sempre risposto
con un no, preferendo una divisione in due entità nord-sud dove il
nord-ovest povero e arretrato da cui la milizia proviene non verrebbe
così abbandonato a se stesso. Resta da capire come Hadi intenda
recuperare il potere sul terreno: le risorse finanziare, rimaste a Sana'a
e controllate dagli Houthi, e l’esercito, prossimo a dissolversi e
parte di esso unitosi ai ribelli sciiti. E’ di oggi la notizia della presa di una caserma delle forze speciali antiterrorismo (addestrate, come spiega la Reuters, dagli Stati Uniti) da parte degli Houthi a Sana'a: sono almeno 10 le vittime accertate. Dulcis in fundo
l’inevitabile settarismo della popolazione, in un paese che è per il 60
per cento sunnita e per il 40 sciita e che è stato spinto fino alle
ginocchia nel preludio di una guerra civile.
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