La trattativa di venerdì si è conclusa con un accordo, per il quale l’ Europa accorda finanziamenti ad Atene per altri quattro mesi e Tsipras accetta di offrire un programma di risanamento nel senso auspicato da Francoforte. Chi ha vinto?
Le reazioni sono contrastanti: la base di Syriza è in rivolta, con Manolis Glezos in prima fila che parla di capitolazione e di accordo inaccettabile, sulla stessa lunghezza d’onda alcuni giornali italiani, pur simpatizzanti di Tsipras, come "Il Fatto” che parla di resa. Vice versa, la stampa economica di destra (in prima fila il “Sole 24 ore”) è d’accordo con il premier greco che canta vittoria e parla di un successo di Atene. Chi ha ragione?
Direi partita sospesa, momentaneamente in pareggio. Vedremo il pacchetto di riforme che Tsipras presenterà. Ragioniamo freddamente.
Da un lato è emerso che una bella fetta di Ue ed anche di governo tedesco non prende affatto alla leggera un'uscita della Grecia dall’Eurozona temendo un effetto domino. Tsipras, però ha dovuto piegarsi alla richiesta di “riforme” perché senza aiuti non sarebbe andato lontano.
Atene, infatti, aveva denaro solo per pochi giorni, dopo di che non sarebbe stata in grado di pagare stipendi e pensioni. La soluzione alternativa sarebbe stata quella di emettere una moneta complementare (ne riparleremo) o di uscire dall’Euro e tornare alla Dracma, ma questo richiede qualche tempo di preparazione, che il governo greco non aveva a disposizione, per cui non sarebbe stato possibile evitare il caos. Dunque, che Tsipras abbia cercato di guadagnare tempo è comprensibile. Ma ha guadagnato solo quattro mesi e, per di più resta insoluto il problema principale. Il guaio è che i greci vogliono la botte piena e la moglie ubriaca, cioè, la permanenza nell’Euro e la fine dell’austerità, ed il passaggio ad una politica espansiva.
Anche la Linke, Sel, Izquierda Unida e la stessa Syriza ecc. ritengono che si debba respingere “l’antieuropeismo” e si dichiarano per la prosecuzione della moneta comune, ma reclamano un nuovo corso espansivo della Bce.
Il punto è che queste due cose non stanno insieme, perché l’Euro è strutturalmente inidoneo ad una politica espansiva. E per diversi motivi:
a. l’Euro è la prosecuzione del Marco, una moneta nazionale pensata soprattutto in funzione dell’economia tedesca. L’equivoco iniziale (di cui ha colpa Mitterrand) è stato quello di parlare di “moneta comune” in luogo di “uso comune di una moneta nazionale”.
b. Il Marco (e quindi l’Euro) è stato sempre pensato come “moneta stabile”, che avesse come obiettivo principale quello di evitare l’inflazione. Per ragioni psicologiche legate all’esperienza weimariana, ma anche per interessi concreti (la Germania è paese creditore e, in quanto tale, non è interessato ad una svalutazione della moneta in cui è nominato il suo credito; inoltre, non è interessata ad una “moneta competitiva” per le sue esportazioni, mentre ha interesse ad una “moneta forte” per le sue importazioni) la Germania è totalmente avversa ad ogni ipotesi inflattiva.
c. L’Euro si regge su una architettura di potere che vede al centro la Bce, pensata in modo da non essere minimamente sensibile alle pressioni sociali, perché manca una autorità politica centrale in grado di condizionarla e, pertanto, la pressione democratica è del tutto inefficace.
d. Al contrario, la Bce è molto sensibile agli orientamenti della Bundesbank che, con il suo 17% di capitale versato, è il maggiore azionista, ma, soprattutto, ha potere di vita o di morte sull’Euro, più di qualsiasi altro paese (come la nascita di Afd dimostra). La Buba ha dovuto ingoiare Draghi, come si ricorderà, ma questo è il limite massimo di sopportazione e, peraltro, lo stesso Draghi, pur favorevole a forme di qe, non esprime un indirizzo particolarmente espansivo e, sicuramente, non è disposto a spendersi per paesi come la Grecia.
e. E se anche la Bce divenisse, per qualche miracolo, sensibile alle pressioni della protesta sociale, allo stato presente non ci sono i rapporti di forza necessari, perché manca qualsiasi raccordo europeo della protesta.
In teoria, sarebbe possibile ed auspicabile che la Bce “comprasse” le quote di debito eccedenti il 60% del Pil di ciascun paese emettendo moneta, ma la “messa in comune del debito” (che è quello che fecero gli americani nei primi dell’ottocento, all’alba degli Usa) non è lontanamente nelle intenzioni dei tedeschi e di buona parte degli altri paesi europei. E, in quel caso, l’Euro diventerebbe un’altra cosa.
Dunque, parlare di politica espansiva in presenza di una moneta come l’Euro è semplicemente un sogno e dimostra cattiva conoscenza del problema. Cosa resta da fare a paesi come la Grecia?
Uscire dall’Euro con atto unilaterale potrebbe essere molto rischioso, per cui è più realistico cercare un accordo con la Ue per una “exit strategy” che consenta una uscita graduale e non traumatica, usando come arma di persuasione l’unica in possesso di Atene: il suo debito. Se la Ue e la Bce non si mostrassero disponibili a questa soluzione, alla Grecia non resterebbe che dichiarare default e, di conseguenza, tornare alla moneta nazionale con atto unilaterale. E si è visto che ci sono settori dello stesso governo tedesco che temono un esito del genere.
Beninteso, sarebbe un gesto rischiosissimo, ma, alla fine, inevitabile. In caso non ci fosse un’uscita concordata, la scelta sarebbe restare nel palazzo in preda all’incendio e finire sicuramente carbonizzati o buttarsi di sotto, con buone probabilità di sfracellarsi ma con probabilità di centrare il telone di salvataggio. Scegliete.
In questa situazione la Grecia non ha possibilità alcuna di ripresa economica e l’effetto “regina rossa” porterebbe ugualmente al default, dopo un ulteriore dissanguamento. Uscirne è rischioso, ma potrebbe esserci il “telone di salvataggio” cinese (anche di questo riparleremo) che potrebbe funzionare.
Quel che è certo è che se Tspiras si arrende alla Bce, perde di colpo più della metà dei consensi ed avvia il suo suicidio politico che, speriamo, non apra la strada ad Alba Dorata.
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