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26/02/2015

Garbuglio greco, tra accordi blindati e tentativi di forzarli

Il primo round è stato traumatico, ma o il governo Tsipras decide di suicidarsi andando contro tutto il proprio stesso programma oppure prova a puntare i piedi da qualche parte. E la situazione si ingarbuglia.

Da un lato c'è da far valere il “prolungamento del programma di aiuti”, a condizioni capestro ma con quattro mesi di respiro, prima di un nuovo round dall'esito che sembra scontato. In questo lasso di tempo il governo può provare a fare qualcosa “di sinistra”, con la certezza di scatenare le ire tedesche, ma contando su qualche margine da scavare nelle pieghe del bilancio e degli impegni.

La via della “trattativa” – peraltro su mandato esplicito della popolazione ellenica, ancora pochi giorni fa decisa, all'81%, a “restare nell'Unione Europea e nell'euro”, ma cancellando l'austerità – una volta scelta, è necessariamente costellata di docce fredde e timidi tentativi di forzare i vincoli sovranazionali.

Appartiene a questa tipologia il blocco delle privatizzazioni del settore elettrico (sia della Ppc, che controlla le centrali di generazione, sia della Admie, che controlla la rete di distribuzione). Il ministro dell'Energia, Panagiotis Lafazanis, in un'intervista, ha spiegato che "L'asta per Admie non andrà avanti", tanto più che al momento non sono state ancora presentate offerte vincolanti.

Linea sponsorizzata anche dal ministro delle finanze, Yanis Varoufakis, che ha ricordato come "La legge ci consente di cambiare i termini delle privatizzazioni e di esaminare la loro legalità”, ribadendo anche l'impegno a "non licenziare dipendenti pubblici e di non ridurre pensioni e stipendi".

Consapevole della necessità greca di fare qualcosa per alleviare le condizioni di vita della popolazione, il cerbero delle finanze tedesche, Wolfgang Schaeuble, tiene sotto mira quotidianamente questi tentativi. Sempre in un'intervista casalinga, ha rassicurato i suoi elettori che la Grecia non vedrà "nemmeno un euro" se non rispetterà per intero gli accordi sottoscritti dai suoi governi precedenti, oltre che dal presente con l'Eurogruppo. "Se li attuano, allora potranno ricevere i versamenti rimanenti e se non li attuano non ci sarà nessun versamento". Sarà diventato ancora più popolare, ad Atene e dintorni, giustificando così le peggiori vignette sul suo conto.

Chiuso il primo round, infatti, è tornata in pista l'ipotesi di “ristrutturazione del debito”. Va ricordato che quasi tutta la massa dei 240 miliardi di “aiuti” alla Grecia è servita a far recuperare i crediti inesigibili vantati dalle banche francesi e tedesche. Una mega-operazione di trasferimento delle “sofferenze private” delle banche a carico del bilancio degli stati dell'eurozona, accuratamente camuffata da “piano di salvataggio della Grecia” (vedi qui). I creditori della Grecia sono così oggi direttamente gli stati europei, invece che le banche private.

Quindi il problema del debito, da puramente economico, è diventato tutto politico. In una intervista alla Cnbc, il ministro Varoufakis ha rispolverato il suo piano originario: "Anche se siamo un governo di sinistra radicale, andiamo a trattare con una mentalità di avvocati di diritto fallimentare della City di Londra che dicono semplicemente che, se c'è un problema con il debito, va ristrutturato. Proporremo una serie di swap per massimizzare il valore attuale per i nostri creditori e rendere possibile al tempo stesso il rimborso dei debiti da parte nostra".

Del resto, i problemi di liquidità sarebbero quasi inesistenti se la Grecia non dovesse rimborsare – alla scadenza dei quattro mesi di “fiato” concessi – le rate attese da Bce e Fmi. "Non avremo problemi di liquidità con il settore pubblico. Ma avremo problemi nel ripagare le rate a Fmi ora e alla Bce in luglio".
In modo apparentemente contraddittorio, Mario Draghi, presidente della Bce, ha invece riaperto le porte all'accettazione di titoli di stato ellenici come pegno in cambio di liquidità. Il che risolverebbe, appunto, i problemi a breve termine di Atene. E visto che non l'ha detto in un'intervista, ma nel corso dell'audizione davanti al Parlamento di Starsburgo, questo è già ora un impegno ufficiale, che cancella la “sospensione della deroga” decisa il 4 febbraio, quando l'accordo con il nuovo governo greco sembrava in bilico.

Bisogna inoltre considerare che il quantitative easing da 1.080 miliardi deciso dal board della Bce ancora non è partito (comincerà in marzo), ma Draghi ha «già visto alcuni effetti positivi delle sue misure. Le condizioni finanziarie sul mercato monetario e obbligazionario sono diventate ulteriormente più allentate. Di conseguenza, i tassi sui prestiti alle famiglie e alle imprese sono calati in modo considerevole. La dinamica del credito ha continuato la sua ripresa, con una crescita del credito al settore privato che è tornata positiva a dicembre per la prima volta da metà 2012».

E sarebbe davvero contraddittorio regalare al circuito finanziario oltre mille miliardi per “allentare le condizioni di erogazione del credito”, per stimolare in qualche modo "la ripresa economica" e la "fiducia", e dall'altro rischiare di mandare a ramengo tutto solo per strozzare nella culla il neonato greco.

Doccia scozzese continua, insomma.

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